Nel 1984 mi recai a Mosca per partecipare ad una fiera organizzata da alcune aziende italiane, tra cui la mia. All’arrivo in aeroporto i doganieri si prodigarono in severi controlli che durarono circa quindici minuti per ciascun viaggiatore. In prossimità del gabbiotto, dove l'ufficiale esaminava il passaporto, era stato installato uno specchio per controllare il "lato B" di ogni persona. Fummo trasferiti in un albergo apparentemente bellissimo, costruito da americani, ma rifinito dai russi. Trattennero i documenti alla reception. Ebbi la fortuna di andare nell'URSS insieme ad un nostro agente, Vlako, che viveva lì sei mesi all'anno. Quindi ero stato preparato a ciò che sarebbe potuto accadere. Nei pressi della camera, appena prima di entrare, Vlako mi sussurrò: “Quando telefoni in Italia: tutto bello, tutto ottimo, tutto splendido, tutto efficiente, tutto fantastico.” Si presumeva che un albergo per uomini d’affari stranieri occidentali fosse pieno di microspie. Anzi, lui lo dava per certo. Con ironia feci presente che non stavamo girando un film della serie "007". Una volta nella stanza, accese l'interruttore della filodiffusione, poi iniziò a spostare mobili. In camera scoprì almeno tre sospette microspie, una dietro il quadro posto sopra al letto, una vicino al comodino del telefono, più un'altra nel lampadario. In bagno ce n'erano altrettante. Le rifiniture dell’albergo eseguite dai russi erano paragonabili a quelle di un hotel italiano da "una stella". La struttura, però, offriva una gamma completa di servizi e bar spettacolari frequentati da donne bellissime (non c’erano vie di mezzo: o erano fotomodelle o completamente sfatte). Gran giro di soldi! Mi avevano avvertito dell'alta probabilità di essere tampinato dai loschi individui del cambio nero. Tutte le donne (prostitute) che frequentavano i bar dell'hotel erano in contatto con i "servizi" o con la polizia. Si offrivano per cento dollari.
Finalmente in fiera. Avevamo portato dall'Italia una macchina da stampa. Il nostro settore era quello dell’imballaggio e avremmo avuto a che fare con tutti i ministeri. Gli operatori privati erano inesistenti. Il ministro comprava la macchina, secondo il suo criterio che era un criterio "fuori dal mondo" rispetto alle esigenze dell’azienda cui era destinata... tanto pagava lo Stato. Lo Stato dava la macchina all’azienda e diceva: questa è la macchina, adesso lavora! Lo Stato era il cliente.
Eravamo stati invitati ad organizzare la fiera facendo in modo che ci fosse sempre la possibilità di mangiare qualcosa. Rimasi sconvolto! Ministri con relative delegazioni venivano sempre verso mezzogiorno apposta per pranzare. Dall'Italia avevamo fatto arrivare un container occupato per metà da forme di grana, bevande alcoliche di tutti i tipi (dal Martini al cognac), spaghetti, pomodoro, salsa. Una cuoca russa lavorava senza sosta nell'angolo cottura predisposto alle spalle dello stand. La macchina ed un pannello nascondevano la sala da pranzo con cucina. Era una fiera di soli espositori italiani. Una ditta aveva persino assemblato la macchina per fare il pane e la pasta.
Per far funzionare la macchina da stampa occorreva del solvente, alcol puro. Ne avevamo un fusto pieno. Una bella mattina, dopo un paio di giorni di fiera, lo stampatore, venendo da me, disse di non riuscire a comprendere... insomma, il solvente sarebbe terminato molto prima della fine della fiera: ne mancava parecchio. Incredibile! Ne parlai a Vlako e lui, carico di sospetti, mi chiese: “Il fusto di solvente, la notte, dove lo mettete?”. Risposi che veniva lasciato nello stand. "No!" urlò lui. "Lo rubano! Lo rubano i facchini della fiera! Lo bevono!" I maschi russi, bevendo come lavandini, si mettevano fuori gioco con le proprie mani. Di conseguenza le donne... Vlako mi raccontò di molte ragazze che non avevano la possibilità di farlo con i loro uomini perché erano sempre ubriachi. Parlo di donne giovani! Ventenni! Chiedevano "amore" agli stranieri in cambio di niente, non per soldi, non per le famose calze...
continua...
giovedì 22 ottobre 2009
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