Presentazione del blog

Dall’intervista di Antonio (Mosca 1980), parlando del suo rientro in Italia:

<… Durante la lezione di geografia di una prof sicuramente poco comunista (o poco simpatizzante ogni volta che si parlava dell’Urss) sentii predicare “in Urss non c’è questo, non c’è quello… non ci sono le macchine...” e io, beato, con tutto il gusto proprio di un bambino, alzai la mano e le dissi “prof, non è assolutamente vero che non ci sono macchine, io sono appena tornato da Mosca e Le assicuro che c’è un traffico della Madonna!”. Lei rimase di sasso...>

Non cercavo soltanto un libro che descrivesse la vita quotidiana dei lavoratori nei paesi socialisti. Per me era importante l’identità dello scrittore, la sua professione.

Storico? Giornalista? Politico? Ambasciatore? No, grazie. L’autore del libro che non sono mai riuscito a trovare sarebbe dovuto essere uno come tanti, magari un operaio/a, un impiegato/a, una persona qualunque, un tipo pulito. Avete mai provato a prendere in mano i testi in commercio sull’argomento? Vi siete resi conto che sembrano fotocopiati? E continuano a sfornarne di nuovi! Vi è mai capitato di soffermarvi sulle risposte dei principali quotidiani nazionali ai quesiti dei lettori interessati alla storia del socialismo reale? I commenti sono preconfezionati! Sono sempre gli stessi! Superficiali, piatti, decontestualizzati, buoni per il “consumatore di storia” massificato. Non parliamo dei documentari. Diamine! La storia è una cosa seria. E’ la memoria! Non bisognerebbe neanche scriverne sui giornali!

Ciò che mi fa salire la pressione è il revisionismo. Passa il tempo, i ricordi sbiadiscono e una cricca di farabutti si sente libera di stravolgere il corso degli eventi, ribaltare il quadro delle responsabilità e di combinare altre porcherie che riescono tanto bene agli scrittori più in voga. Tale è l’accanimento… vien da pensare che il Patto di Varsavia esista ancora da qualche parte!

Un giorno mi sono detto: io non mi fido, il libro lo scrivo io.

Ho iniziato a rintracciare gente che si fosse recata nei paesi socialisti europei prima della loro conversione all’economia di mercato. Ho intervistato quattordici persone esterne ai giochi di potere e libere da qualsiasi condizionamento (eccezion fatta per le intime convinzioni proprie di ciascun individuo che non mi sento di classificare tra i condizionamenti). I loro occhi sono tornati alle cose belle e a quelle brutte regalandomi un punto di vista diverso da quello dell’intellettuale o dell’inviato televisivo. Grazie ad alcuni libri di economia usciti nel periodo 1960-1990, ho tentato di rispondere ai quesiti sorti nel corso delle registrazioni.

http://viaggipianificati.blogspot.com/ è l’indirizzo web dove è possibile leggere le straordinarie avventure a puntate di italiani alla scoperta del vero socialismo e delle cose di tutti i giorni. A registrazione avvenuta, è possibile lasciare un commento.

Visitando il blog potrete idealmente gustarvi un’ottima birretta di fabbricazione “democratico-tedesca” seduti in un bel giardino della periferia di Dresda, nuotare nella corsia accanto a quella occupata da un “futuro” campione olimpico ungherese, discutere coi meccanici cecoslovacchi, e… molto altro. Buon divertimento!

Luca Del Grosso
lu.delgrosso@gmail.com


Il libro "Viaggi Pianificati" è in vendita ai seguenti indirizzi:

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in formato cartaceo o "file download" .





lunedì 30 novembre 2009

48° puntata - Paolo - parte 2/3

Il cambio nero ci seguiva costantemente. Soprattutto a Berlino era facile che in centro qualcuno si avvicinasse per proporre l'acquisto di marchi occidentali o dollari, fissando un cambio molto favorevole per il turista. Il cambio si faceva, eludendo il controllo degli accompagnatori, gente dei sindacati tedeschi FDGB, persone fidate, selezionate, che per poter frequentare i turisti occidentali dovevano essere reputate più che integerrime. Ci si aspettava, ad esempio, che non proponessero il cambio nero ai turisti per vantaggio personale! A Oberhof il traduttore era di origine italiana. Ex prigioniero dei nazisti, si era fermato in Germania ed aveva sposato una tedesca. Era stato internato a Buchenwald e ritornandoci… tradì la sua emozione. Secondo alcune fonti, tempo dopo l'uomo sarebbe stato vittima di un grave incidente d'autobus insieme ad un’altra delegazione: seduto nella parte anteriore del mezzo e sbalzato in avanti finì col perdere le gambe.
Nel 1978 il nostro aereo per l'Italia fu protagonista di un incidente sulla pista di decollo a Schoenefeld. In piena velocità, a metà pista, il pilota si accorse che uno dei motori non funzionava bene. Invece di alzarsi, frenò. La pista non era finita. Un po’ di panico perché non si capiva cosa stesse accadendo: le hostess correvano avanti e indietro! Aprirono infine le uscite di sicurezza. Uscimmo sulle ali per scendere da lì, senza scivoli, e alcuni si fecero male. Si infortunarono alle gambe saltando dalla fusoliera! Dalle ali il salto era più basso. Voltandoci potemmo notare il motore in fiamme. Io mi misi a correre sulla pista di decollo, poi arrivarono i pompieri sparando schiuma sull'aereo. Ci riportarono all’aeroporto. L'attesa durò ore senza che potessimo capire nulla. Nella notte fu predisposto un volo alternativo per ricondurci a casa. Ecco un appunto per i superstiziosi. Mia madre quell’anno, complice il cambio illegale, mi aveva comprato un violino a Berlino Est in un negozio di musica del centro... un bel violino, di quelli non proprio economici... una figura da sceicchi, visto che io non ero neanche capace di suonarlo... il nome del liutaio? Hermann Tod. "Tod" in tedesco vuol dire morte!
Un'altra volta io, mia mamma e mio fratello, sempre in delegazione, visitammo il campo di concentramento di Sachsenhausen. I giri nei "lager" erano parte di una liturgia! Per i tedeschi orientali i "campi" erano monumenti nazionali in cui si accompagnavano gli stranieri per mostrare cos'era successo. Erano dei sacrari degli orrori del nazismo. Davano grande peso alla bestialità nazista, scaricando così un po’ di responsabilità dalle spalle dei cittadini comuni. La lettura era che i nazisti avevano ingannato e sedotto i lavoratori tedeschi, quindi il popolo era stato anch'esso vittima. Semplificando, si attribuiva tutta la colpa ai gerarchi. All’Ovest vidi un maggiore senso di responsabilità della persona comune nei riguardi di quegli anni.
A sedici anni tornai nella DDR. Era il 1986. Restai a Lipsia per un mese, frequentando l’equivalente tedesco-orientale del Goethe Institut, ovvero lo Herder Institut che organizzava corsi estivi di tedesco in una specie di scuola, un campus universitario pieno di occidentali, americani, italiani, francesi, finlandesi. Mia madre aveva prenotato delle lezioni private di violino da un musicista. Ero stato a casa di questo signore, che nutriva una formidabile passione per il ferro battuto. Abitava in una normale casa. Non vi era nulla che non ci fosse anche nell'appartamento di mia nonna.
continua...

giovedì 26 novembre 2009

47° puntata - Paolo - parte 1/3

"La Germania Est si era assestata ad un livello economico molto basso che offriva poche cose, ma non parlerei di desolazione. Poca varietà, però non penuria. Non c’era molto, ma quello che c’era... c’era per tutti, oltre ai servizi sociali che erano assicurati ad ogni cittadino: lo "stato sociale" funzionava. Un po’ di tristezza diffusa causata dalla mancanza di varietà dei beni. Sembrava che tutti avessero il grigiore addosso."

Paolo ha soggiornato nella DDR più volte: nel 1977 (quando aveva solo 7 anni), nel 1978, nel 1979, nel 1984, nel 1986 e nel 1988. Sarete curiosi di sapere del perché di tanti viaggi…

Mia madre insegnava tedesco, inoltre i miei genitori erano entrambi convinti comunisti. Le ferie si trascorrevano volentieri nella Germania Democratica, dove l’agenzia ETLISIND organizzava vacanze per gruppi di italiani.
La prima volta toccò a Kuehlungsborn, piccola località turistica sul Mar Baltico. Era estate, anche se l’estate sul Baltico non è proprio da magliettina e costume. L’anno dopo optammo per Oberhof (Turingia). Per il periodo di villeggiatura le delegazioni erano alloggiate in complessi turistici destinati di norma ai lavoratori tedeschi.
Si atterrava a Berlino-Schoenefeld con la compagnia “Interflug”. Il primo volo fu emozionante! Servirono un pranzetto tedesco-orientale a base di salame e medaglioni di cioccolato con l’effige dell’aereo Interflug in rilievo su entrambe le facciate. Durante il viaggio mi sentii male e dovetti far ricorso al “sacchettino”. Note sono le lunghe attese al "controllo documenti"! Mia mamma mostrò un timbro sul passaporto che non si riusciva a leggere bene e che fu origine di discussioni. Si passava da un corridoio strettissimo sormontato da un vetro obliquo che consentiva al doganiere di vedere tutto, persino quello che si teneva in mano. Si consegnava il passaporto che spariva per un tempo indefinito. Poi, due giorni in transito all’hotel "Stadt Berlin", uno dei palazzi più alti di Berlino (ben 39 piani). Non c’erano molti altri alberghi per stranieri. Era enorme, aveva un ristorante panoramico all’ultimo piano ed ascensori che si muovevano a velocità supersonica. In pullman si raggiungevano le destinazioni finali, dove si restava per circa due settimane. A fine vacanza si tornava a Berlino Est per una notte.
Il fondale del Baltico era basso, non si finiva mai di camminare. L’acqua era molto fredda e vi crescevano alghe foltissime. Gigantesche casse di vimini riparavano dal vento.
In Turingia situazione molto bella: montagne, boschi, stazioni di sport invernali, attrezzature per il salto con gli sci. Poiché la neve non c’era, per sciare e saltare si usavano delle spazzole che la sostituivano ed erano orientate nel verso della discesa del trampolino.
Quella a Greifswald (terza volta) fu la più deludente delle tre vacanze... un po’ campagna, un po’ cittadina di provincia senza nessuna particolare attrazione. Non c’erano passeggiate nei boschi, né l’acqua gelata del Baltico. Ci annoiammo.
Globalmente, per i bambini, quelle nella DDR erano vacanze divertenti. C'erano giochi, attività organizzate come la ginnastica sulla spiaggia, il ping-pong o il tiro a segno con la pistola a piombini.
Nel complesso turistico si potevano incontrare famiglie di lavoratori tedeschi, polacchi, russi, ungheresi, cecoslovacchi e qualche rumeno. Ci si incrociava a pranzo e a cena nei pressi degli enormi buffet con tavoli distinti da bandierine della nazione di riferimento, anche se il cibo era uguale per tutti. I buffet, caratterizzati quasi sempre da cibo freddo, erano ricchi di salumi, formaggi e pesce. L’unità di organizzazione era la delegazione, che era sempre accompagnata dalla guida e dal traduttore. C’era sicuramente una motivazione politica che ci spinse così lontano tante volte, ma anche il fatto che per una famiglia era una buona occasione di vacanza, una vacanza che funzionava. Attività ricreative e culturali, natura, visite nelle cittadine: la guida spiegava tutto. Visitammo persino Buchenwald.
continua...

lunedì 23 novembre 2009

46° puntata - Annalisa - parte 3/3

Conobbi una giornalista che, per mantenersi gestiva un maneggio sul Golfo di Finlandia. Mi fece montare a cavallo per una galoppata sulla spiaggia… straordinaria esperienza.
Visitando le case dei nostri conoscenti notai che le radio, spesso attaccate al muro, funzionavano a pile ed erano sempre accese. Non c’era il tasto “off”, si poteva soltanto abbassare il volume. Posso dire di non aver mai sentito la mancanza di qualcosa in particolare. E' anche vero, però, che si faceva la fila per pane e biscotti e che nei mesi precedenti il mio arrivo Miriana aveva fatto la scorta di cibo e piatti tipici "pronti": pollo ripieno di mele verdi; formaggio con cioccolato di Leningrado; salsicce affumicate; aringhe affumicate... a me piace la colazione salata. Miriana aveva comprato cibo ogni volta che le si era presentata l’occasione e refrigerava. Come regalo da parte mia le portai sigarette ed alcolici (Martini).

La carenza alimentare era imputata ad un boicottaggio nei confronti del governo.
Gorbaciov era denigrato, preso in giro per la sua pronuncia. Non parlava in maniera corretta, neanche a livello grammaticale. Immagina... De Mita. Shevarnadze, invece, come ministro degli esteri era molto apprezzato.

Ricordo con piacere la visita alla residenza estiva di Pietro il Grande, Petrodvoretz. Era noto il grande attaccamento da parte dell’Unione Sovietica alla tradizione storica e culturale dell’Impero Russo, al mito di Pietro il Grande, così come a tutti i palazzi delle città vicine a Leningrado, come Pushkin. Mi spiegarono che i russi, in preparazione della scontro con i tedeschi e della probabile invasione, avevano preventivamente fotografato gli interni dei palazzi prima di portar via i mobili. I palazzi furono distrutti dai tedeschi, ma alla fine della guerra i russi poterono ricostruire tutto come prima. Si entrava con le pattine. Il successo della ricostruzione era un vanto per i russi, tanto che venivano esposte le foto del prima e del dopo.
Grazie ad alcune conoscenze presi parte ad un giro "non canonico" dell’Ermitage. Ci permisero di entrare in stanze solitamente chiuse al pubblico. Resta uno dei ricordi più belli.

Miriana mi proibiva di visitare le viuzze secondarie. Secondo lei non erano interessanti. Mi incuriosiva l'aspetto decadente di queste vie rispetto alle ben tenute principali.
Trovai del tempo per un viaggio in treno a Tallinn. Otto ore, treni sovietici molto belli, con cuccette grandi e lenzuola di cotone. Pensava a tutto una “babushka”, che al mattino portava anche il samovar.

Grazie al viaggio scoprii una nuova gestualità e molti modi di dire, il più delle volte presi dalla letteratura. Anche il modo di contare sulle dita mi colse di sorpresa: i russi contano come gli americani, partendo dall’indice e il cinque è il pollice. Il "vaffanculo" si esprime mettendo il pollice tra l’indice e l’anulare. Le parolacce non erano ammesse. Assolutamente. Non si dicevano.
Quella a Tallinn fu una visita clandestina. Avevamo il visto solo per Leningrado. Andare a Mosca voleva dire ancora "viaggio clandestino". Decidemmo ugualmente di prendere il treno per Mosca e di lasciare Leningrado un giorno prima del previsto (l'aereo per l’Italia sarebbe comunque decollato da Mosca). A Mosca trovai il tempo per visitare il Mausoleo ed i GUM, vuoti. Sulla Piazza Rossa avevano installato cartelli con la scritta “Vietato Fumare”, ma c'erano cicche spente dappertutto! Nel corso della vacanza fumai tutti i tipi di sigarette sovietiche: pessime.

L’esperienza non fu positiva, almeno a livello umano (al mio ritorno smisi addirittura di studiare il russo!). Andava esaurendosi la fascinazione per una lingua che ha sempre espresso una potenzialità letteraria molto elevata. Purtroppo mi scontrai con una persona dal forte carattere che riuscì a procurarmi cocenti delusioni. Non mi riferisco alla politica! Quello che rappresentava l’Unione Sovietica dell’epoca mi era molto chiaro. Di certo non pensavo che fosse così dura!

giovedì 19 novembre 2009

45° puntata - Annalisa - parte 2/3

Mi confrontavo quotidianamente con una persona che aveva grande padronanza della lingua italiana e notevole capacità di apprendere le lingue. Lei cercava di conversare esclusivamente in italiano e solo quando non capivo bene quello che mi stava dicendo provavo io a parlare in russo! Io ero lì per parlare russo! Assolutamente repressiva. Mi accompagnava tutti i giorni a scuola. Non mi lasciava mai sola. Io fin dal primo giorno, imparata la strada, avrei preferito spostarmi in piena indipendenza. Una volta cercai di fuggire. Mentre lei faceva la doccia, scappai verso la metropolitana. Uscii senza neanche lavarmi. Miriana mi raggiunse in metropolitana prima che potessi prendere il treno.
Una mattina, al mercato, io (scuretta) ed un amico italiano fummo interrotti nel bel mezzo di una discussione da un vecchietto che, scambiandoci per georgiani, ci ordinò di parlare russo. Obiettammo che eravamo italiani, ma lui disse che se capivamo il russo dovevamo parlare russo. Un certo razzismo era già piuttosto diffuso.
Era evidente l'esistenza di un fiorente mercato nero rivolto agli stranieri. Ce n’era uno proprio di fronte alla scuola. Si trovava di tutto, anche la droga.
Era un paese in rapido cambiamento. La vita culturale clandestina era intensa.
Un'amica, che trascorse un soggiorno migliore del mio, raccontò che i suoi ospiti la portavano di sera in fabbriche di periferia abbandonate dove si svolgevano concerti jazz, cabaret e spettacoli musicali. Espressi il desiderio di partecipare, io infatti uscivo sempre con gli italiani e Miriana. Una pomeriggio telefonarono per invitarmi, ma Miriana rispose che ero in doccia: non era vero! Ero in casa, ma non volle passarmi il ricevitore.
Il rapporto tra noi andò via via deteriorandosi, fino al periodo della sua visita a Milano (il primo giorno le diedi le chiavi di casa facendole capire che poteva fare quello che voleva, esattamente come sarebbe piaciuto fare a me a Leningrado).
Riflettendo sulle grandezze e sui possibili paragoni, mi resi conto con stupore che attraversare un viale come la Prospettiva Nevski era come attraversare Piazza Duomo a Milano. Lunghissima e larghissima! In generale, le distanze e le dimensioni erano incredibili.
L’insegnante era una donna, bassa, bionda, molto disponibile. Ci invitò a casa sua, una tipica casa russa, piccolina, curata, arredamento stile impero, barocco, un mix di finti arredamenti antichi. Cucinò dei bliny con la crema appositamente per noi.
A scuola, alla nostra richiesta di poter vedere dei film per imparare il russo risposero con una proposta didattica che includeva solo film muti! L'edificio, sede della Casa dell'Amicizia tra i Popoli, era molto bello. Comprendeva un ristorante-mensa che era anche l’unico posto a Leningrado dove servivano acqua minerale non ferrosa. Dalla doccia di casa veniva giù acqua rossa. L'acqua, se bevuta, lasciava il sapore del ferro tra i denti.
Assaggiata l’acqua di Leningrado, capii perché si pasteggiasse a vodka e succhi e non ad acqua.

Miriana era ingegnere meteorologico. Conduceva una vita da classica giovane sovietica. Aveva preso marito all’università, perché sposandosi si aveva automaticamente diritto alla casa.
Parlando con lei e con altre donne di vari aspetti della vita sociale e sessuale capii che lì mancava il '68, inteso come emancipazione femminile da una serie di blocchi. Il percorso era stato diverso.
Nelle persone c’era il rifiuto dell'indottrinamento e la ricerca di una forte criticità. Purtroppo tale criticità non era ben sviluppata né opportunamente orientata, in quanto non c’era la preparazione per essere critici. Il rifiuto del Marxismo-Leninismo si sviluppava in contrapposizione netta nei riguardi del pensiero ufficiale, con sbocchi nella religione e in prese di posizione retrograde, a volte grette e razziste.
continua...

lunedì 16 novembre 2009

44° puntata - Annalisa - parte 1/3

Dopo tre anni di studio della lingua russa Annalisa si era rivolta all’ "Associazione Italia - URSS", dichiarandosi disponibile ad un eventuale scambio culturale per approfondirne la conoscenza.
Grazie a quest'iniziativa, nel luglio del 1990 fu ospite di una studentessa di Leningrado che studiava italiano. Annalisa avrebbe ricambiato la cortesia nell’autunno dello stesso anno.

Partii con un gruppo di ragazzi. Alcuni frequentavano come me l’università, altri studiavano russo all'associazione. Sul volo Aeroflot casualmente incontrai alcuni amici diretti in Giamaica. Aeroflot offriva la combinazione più conveniente per raggiungere l'America centrale. Fui entusiasta del loro servizio, competitivo per i prezzi, ottimo anche per i contatti umani. L’impatto con la Leningrado degli anni ’90 fu... originale! Mi accolsero con due arance, segno di benvenuto da parte della ragazza che mi avrebbe ospitato. Io avevo 23 anni, lei 25 e si chiamava Miriana. Abitava nei pressi della fermata metrò Kirovsky Zavod, molto famosa perché prendeva il nome dallo storico stabilimento che sorgeva lì vicino, una delle fabbriche occupate da cui era partita la Rivoluzione. La casa era molto bella, un alloggio in condivisione tipo primi del Novecento, molto spazioso. Lei la condivideva con suo fratello e una signora. Avevano bagno e cucina in comune, poi c'erano le stanze singole con porte di ingresso che davano sul locale principale e che ricordavano le porte esterne dei nostri appartamenti, perciò era come se ci fossero due ingressi da oltrepassare prima di ritrovarsi in camera. Le stanze erano davvero ampie, ognuna misurava circa quaranta metri quadrati. Belle e più grandi del mio bilocale milanese dell'epoca! Soffitti alti, bagno enorme. Ebbi l'opportunità di visitare anche case di nuova costruzione in periferia, talvolta molto carine, più piccole, ma arricchite da un'intelligente suddivisione degli ambienti. Camere da letto piccole e spazi comuni (cucina e soggiorno) più grandi.
Ricordo che in ascensore fumavo sempre, perché lo spazio equivaleva a quello delle cabine telefoniche inglesi e i russi lo usavano come pisciatoio. Nelle case vecchie e nuove mi colpì il fatto che fino all’entrata vera e propria dell’appartamento tutto era molto sporco. Dalla porta di ingresso in poi regnava una pulizia eccezionale. Credo che disprezzassero le parti comuni. Anche nei condomini l'aria era pervasa dal tanfo di spazzatura fermentata e urina. Odore di sporco fermentato. La casa di Miriana mi piaceva molto. Disponeva di un divano letto e di un armadio molto grande posizionato lungo la parete. In fondo, un'ampia finestra illuminava il salotto e il tavolo rotondo con quattro sedie. C’era anche un criceto. Era il periodo delle notti bianche... che spettacolo! Dormivo nel suo letto (lei si faceva ospitare dal fratello nella stanza attigua) insieme al criceto e ad una serie di blatte che percorrevano il mio viso nel corso della notte. Non avevo pensato all'eventualità di trovarmi a combattere contro le zanzare, non mi ero portata neanche il repellente! Il primo giorno non potei uscire di casa perché avevo la faccia gonfia per le innumerevoli punture. Cominciai ad usare prodotti sovietici per non essere punta dagli insetti. Dormivo sotto un poster gigante di “Rambo”. Questa cosa mi piacque molto, perché Miriana a Milano avrebbe dormito davanti al poster di Lenin (a Milano cercò di dirmi che davanti al poster di Lenin non ci voleva dormire, dal canto mio feci presente che avevo dormito sotto “Rambo” senza lamentarmi e che Lenin era un po’ meglio di “Rambo”). Per lei tutto quello che era sovietico era negativo, tutto quello che era occidentale era positivo.
continua...

sabato 14 novembre 2009

Paradossi del Socialismo

Dal libro "Stalinismo e antistalinismo nell'economia sovietica" di Alec Nove, Einaudi, Piccola Biblioteca Einaudi, 1968 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, seconda edizione (Alec Nove si ispira ad un articolo comparso sulla "Ekonomiceskaja Gazeta" il 29 settembre 1962, pag.39):

Secondo un eminente dentista moscovita, le otturazioni sovietiche restano nei denti sovietici per pochissimi mesi; sembra che ciò sia dovuto alla qualità scadente delle sostanze usate nella preparazione del materiale per otturazioni ("cemento", nota di richiamo all'articolo). I dati statistici riflettono una produzione non necessaria di materiale per otturazioni come pure un'alta frequenza di ricorsi al dentista. Il passaggio alla produzione di un amalgama per otturazione dentaria più durevole, ed evidentemente non molto più costoso, avrebbe l'effetto di ridurre, in termini assoluti la produzione e, con grande soddisfazione di tutti gli interessati, l'URSS "retrocederebbe ancor di più rispetto all'America" in questo settore della vita economica. Allo stesso modo, gli pneumatici sovietici, i tubi catodici televisivi ed un gran numero di altri prodotti, si logorano molto più rapidamente di quanto ci si potrebbe aspettare tenendo conto dell'attuale livello conoscitivo e tecnologico. E' vero, naturalmente, che la produzione americana di certi beni di consumo durevoli "beneficia" della caduta in disuso pianificata e della deliberata tendenza ad evitare la durevolezza. Ma nel caso sovietico, che si estende su di un campo molto più vasto, la fonte dei guai sta proprio nella tendenza a concentrarsi eccessivamente sul raggiungimento degli obiettivi quantitativi di produzione, ad adattare cioè l'assortimento dei prodotti alla misurazione statistica dello sviluppo.

Più chiaro di così!

giovedì 12 novembre 2009

43° puntata - Fred - parte 4/4

Durante la sosta a Mosca chiedemmo alla guida di portarci a comprare delle valige "vere". Non riuscivamo a trovarne di solide. Ci condussero fino ad un centro commerciale a circa 40 chilometri da Mosca, passando per periferie collegate da strade di fango, zeppe di palazzoni di trenta piani uno attaccato all’altro: clamorosi! Il grande magazzino doveva essere la nostra salvezza e invece non c’era niente, le valigie facevano schifo e mi arrabbiai con l’accompagnatore. Gli domandai se ci stesse prendendo in giro.
Comprai comunque spillette del PCUS e busti di Lenin. Ci tenevano a mostrare i loro simboli. I simboli a volte diventano pop, nel senso che non sono solo simboli politico-ideologici, ma anche estetici. Avevano un valore anche solo per quello.
Rimasi turbato dalla questione estetica di Mosca: la pur apprezzabile grandeur bolscevica era contrastata dagli hotel per stranieri dove potevi comprarti qualsiasi cosa occidentale, dollari alla mano. All’interno del sistema c’era un altro sistema corrotto e già occidentalizzato. C’era qualcosa che non andava. A volte si davano mance senza cognizione di causa, importi pari a stipendi settimanali e la gente rimaneva un po’ frastornata.

Esperienza agrodolce. Tra il 1989 (ultimo anno di socialismo) e il 1990 in Polonia si verificarono grandi cambiamenti. L'inflazione e l'impoverimento spinsero le donne anziane a uscire di casa per vendere mazzi di fiori e scarpe usate.
In Polonia nell’88 e nell’89 alcune persone, scrivendo il mio indirizzo, dissero di avere intenzione di venirmi a trovare in Italia. Successivamente mi sarebbero state recapitate diverse lettere con la preghiera di avviare la procedura ufficiale di invito dal consolato polacco. Una ragazza conosciuta in Polonia durante i concerti, incontrata in più occasioni, mi parlò del suo desiderio di passare le vacanze in Italia. Anche lei diceva di aver bisogno dell’invito… era una pratica diffusa quella di chiedere e chiedere e carpire la fiducia per avere informazioni e fare addirittura "business". In Polonia evitai per quanto possibile di trattare argomenti politici. Sapevo che Solidarnosc era lo strumento migliore per introdurre la democrazia, ma anche quello per far diventare la Polonia come tutti i paesi occidentali, con il loro carico di problemi.
Non ebbi avventure con ragazze polacche. Notai una sorta di sudditanza da parte loro. Si attaccavano perché vedevano in noi lo spiraglio per cambiare vita. Erano delle grandi opportuniste. Sognavano di poter mollare quello che non amavano della loro terra. Da uomo ribadisco che la constatazione della loro piena disponibilità non poteva considerarsi motivo di orgoglio o di alcunché che somigliasse ad una sensazione di soddisfazione.

Vidi tanti jeans sbiaditi (del tipo finto "Stone-washed"). Tendevano a scimmiottare i costumi occidentali con prodotti interni. Le donne, però, erano proprio carine. Me ne resi conto particolarmente firmando autografi.

Quanto alla musica, molto “taroccame”. Trovai miei pezzi mixati con brani di Michael Jackson e Madonna! Addirittura un collaboratore sostenne che un mio album riuscì a vendere più di 200mila copie in cassetta pirata. Non vidi mai una lira!

lunedì 9 novembre 2009

42° puntata - Fred - parte 3/4

Per assistere alla finale di coppa Campioni Milan - Steaua Bucarest mi recai a casa di giovani moscoviti che vivevano in un appartamento di tre stanze. In ogni stanza abitava una coppia. Cucina in comune. Duecento paia di scarpe all'ingresso! Erano amici di una donna che lavorava per l’agenzia che organizzava i concerti. A metà partita dissero di volermi mostrare la registrazione di un gruppo reggae che si chiamava "Perestrojka" perché fosse chiaro che loro la pensavano diversamente. Ci fu una discussione. Spiegai che mi trovavo a casa loro prima di tutto per vedere la partita e in secondo luogo che l’Italia non era quel paradiso che credevano e che si informassero a riguardo. Non la presero bene...
Senza una lauta mancia in albergo non ti assistevano. A volte ci servivano piatti avariati, probabilmente per ritorsione. Immagina un ristorante all’interno di un albergo, i camerieri vestiti di bianco, col papillon, e una band con una cantante che fa la cover di Sabrina Salerno “Boys Boys Boys”, il batterista che fa finta di suonare la batteria visto che accanto ha una batteria elettronica... ripensandoci, avrei potuto girare un film.

Un giorno mi misi in coda per comprare dei francobolli. Ad un certo punto l’impiegato prese un foglio e vi scrisse due righe a mano. Appese il seguente messaggio: “chiuso dalle 11 alle 11,15”. Bisognava aspettare. Passai giorni interi senza riuscire a trovare una bottiglia di acqua minerale. Nel nostro albergo vendevano soltanto una bibita verde. Dovetti accontentarmi di quella roba. Orinavo verde. L’acqua del rubinetto… si riempiva la vasca per fare il bagno e l'acqua era marrone. Mi ammalai. Febbre a 39. Non avevo medicine, non avevo niente. Chiesi a quelli dell’albergo se potevano mandarmi un dottore. Tre tipi sospetti entrarono in camera, due uomini e una donna. Cominciarono a rovistare tra le mie cose, a sfogliare le carte nella valigia. Al termine della perquisizione fui sollevato di peso e trasportato in bagno. Volevano obbligarmi a fare una doccia fredda! Io opposi resistenza urlando in francese: rifiutai di obbedire. Ci capivamo solo in francese. Mi ostinai tanto da riuscire a far convocare con il mio management. Chiesi subito un biglietto aereo per scappare via. Niente Yerevan. Trascorsi tre giorni da solo in albergo. Niente da mangiare. Sia in Polonia che in URSS avevo comprato pellicce e un sacco di altra roba. Ero pieno di mercanzia. Per fortuna mi ero preventivamente procurato un permesso dello Stato polacco che mi autorizzava a transitare. In aeroporto mi imbattei in Ugo Tognazzi che tornava a Roma... la prima persona con viso non ostile dopo giorni e giorni di musi. Io presi un aereo per Varsavia (a Mosca non avrebbero pagato il volo diretto per l’Italia). Rimasi in casa di amici per circa tre giorni abbandonandomi alle agognate cure.

Mosca era una città difficile, caotica. Le strade erano dominate da tassisti che tagliavano le corsie senza neanche guardare, i taxi si rompevano in mezzo alla strada. Una sorta di fatiscenza globale, l’albergo pieno di acari vecchi di un secolo... Passavamo le serate ad ubriacarci con la vodka nella stanza di qualcuno perché era l’unico svago che avevamo. Compravamo al mercato nero la bottiglia avvolta in un foglio di giornale. Costava dieci dollari. Non si andava in giro. Una sera gli organizzatori ci offrirono una cena in un albergo. Lo spettacolo consisteva in una sottospecie di danza del ventre: una cosa patetica.
Pensai che se quello era il socialismo a me non interessava. Troppe contraddizioni! La gente lo subiva e non lo accettava.

Il fascino che l'Est europeo aveva sempre incarnato era per me sfumato. Le mie posizioni infatti cambiarono, ma non a livello ideologico! Mi convinsi del fatto che il socialismo era stato messo in atto in modo poco congruo, anche per colpa degli individui che componevano la classe dirigente, molto attenta al proprio benessere. C’erano personaggi con mega-macchine, frequentatori di ristoranti in cui si poteva pagare solo in dollari. Al ristorante “Lasagne” un pranzo costava cento dollari! C’erano negozi che accettavano solo bigliettoni. Il dollaro circolava in una maniera subdola, sotterranea.

Quest’idolatria per il dollaro, per il benessere, per la cioccolata, i jeans e i collant era palese. Passavano il tempo pensando ai negozi con prodotti internazionali. Un mattino mentre facevo la coda per il "Raketa" fui di colpo circondato dalla gente perché mi vedevano interessato a dieci orologi diversi. C’era un fare losco e poco sincero nell’ambiente che ruotava intorno a noi. Quelli del management sembravano tramare continuamente alle nostre spalle. Non dicevano mai la verità e continuavano a spostarci le date. Una disorganizzazione imbarazzante. In Polonia fummo costretti a percorrere centinaia di chilometri sotto la neve con un autista ubriaco, i finestrini che si aprivano e lasciavano entrare i fiocchi gelidi... noi provavamo a coprirci con giubbotti e coperte. Era normale. A Varsavia si verificò il “sold-out” per un concerto da tenersi in un palazzetto dello sport circondato dalla Milizia. La polizia picchiava la gente che voleva scavalcare per entrare. Questo "ordine" era in realtà un caos organizzato.
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giovedì 5 novembre 2009

41° puntata - Fred - parte 2/4

Seguii i programmi musicali della televisione polacca di Stato. La cosa clamorosa era che la musica dance italiana (mia e di altri artisti) diventava sempre più popolare tra i giovani, ma senza grandi dischi in circolazione, perché c'erano solo bootleg (riproduzioni non autorizzate, ndb)! Le cassette giravano e facevano sì che la gente si informasse, tramite la Germania confinante da cui arrivavano molte cose, magari via radio. Comunque la gente era attenta. Si tennero concerti, bagni di folla, da circa cinque-diecimila persone! Tutto gratis, perché non si poteva convertire la loro valuta, ma fu una grande esperienza... girare per le strade, guardare nei negozi di strumenti musicali con i sintetizzatori russi in vetrina, esibirsi in un night con due pezzi, il dj che vedendoci entrare suonava i nostri dischi... C’erano anche le prostitute che si avvicinavano, tantissime, in tutti gli alberghi di lusso (ogni hotel aveva un night), nelle discoteche sottoterra. Il loro modo di fare era inequivocabile, impossibile non notarlo. Non eravamo tipi anonimi, ci conoscevano tutti. Ci fermava la gente per strada! Quando si compare spesso in tv, su giornali e riviste la cosa diventa complessa, occorre saper gestire l’entusiamo delle persone.

Da lì nacque l’interesse per l’Urss. Organizzarono un tour su misura che ebbi la sfortuna di non poter completare per motivi di salute. Dopo aver trascorso circa un mese in Polonia, ci spostammo a Mosca in attesa di un volo per Yerevan, in Armenia, dove si sarebbe tenuto il primo concerto in terra sovietica. Alcune date programmate in Siberia saltarono subito per motivi di ordine pubblico... infuriavano scontri che non venivano pubblicizzati, ma che di fatto modificarono l'itinerario della tournée. Nel momento in cui giungemmo a Mosca fummo alloggiati in un hotel per soli russi. Nessun impiegato parlava inglese, zero comunicazioni con l'esterno... si poteva telefonare in Italia solo prenotando e attendendo ore ed ore... completamente sotto controllo e spiati in tutto quello che dicevamo. Tirando su il telefono si sentiva un misterioso "clak-clak"... c’era qualcuno che ascoltava! Girai per la città in lungo e in largo per una decina di giorni, insieme a guide che ci portavano nelle periferie, nei supermercati a comprare i dischi di contrabbando di Paul McCartney (era uscito solo un disco per il mercato sovietico), sull’Arbat a cercare gli orologi Raketa. Avevamo un sacco di soldi da spendere e non sapevamo cosa farne.

Mosca? Enorme, contradditoria, abitata da persone anonime e ordinarie, sempre in coda a comprare cibo o una bottiglia di vodka, in contrasto con altri soggetti che scendevano da automobili enormi, in una città dove teoricamente tutti dovevano essere uguali. Quest’uguaglianza non c’era. Cominciai a notare che qualcosa non quadrava. Sia in Polonia che in Urss c’era la tendenza ad essere molto gretti, attaccati ai soldi. L'ossessione di pervenire al benessere! Un continuo lamentarsi ... “Ah, voi state bene! Beati voi in Italia, un paese dove non ci sono problemi!”, malgrado io tentassi di spiegare che le cose non stavano proprio così, che avevamo problemi grossi. Loro insistevano e mi davano del comunista. Quella gente, specialmente la gioventù, era profondamente anticomunista.
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lunedì 2 novembre 2009

40° puntata - Fred - parte 1/4

Grandi esperienze per Fred: nel 1985 a Lubiana; in Polonia dal 1988 almeno cinque volte fino al 1990; a Mosca nel 1989.
Motivo di questi viaggi? Il suo lavoro in campo musicale, esibizioni, concerti, serate in locali, festival. Fred Ventura, artista italo-dance, italo-disco, a partire dal 1983 intraprese tale attività con buoni riscontri in tutta Europa e anche nei Paesi dell’Est, sul finire degli anni Ottanta. Primo viaggio in Jugoslavia...

...per una serata in un posto incredibile situato nella periferia di Lubiana. Ancora oggi ricordo l’atmosfera! Avevo... paura no, ma ero emozionato, perché sentivo che c’era qualcosa di diverso nell’aria. Avevo 22 anni. La città era molto bella, però... i lampioni erano fatti con i tronchi, in albergo c’erano insetti da tutte le parti... e un disco costava solo 500 lire. Sembrava un "luna park" del passato.

Lubiana è molto vicina all’Italia. Le persone erano a conoscenza di ciò che accadeva da noi. L’informazione arrivava. La Jugoslavia non applicò mai il "filtro" che fu tipico dell'Urss e della Polonia. L’atmosfera era da paese dell’Est, poco evoluto, ma non chiuso e rigido come avevo immaginato.

L'autentico impatto con l’Est si verificò nel 1988, quando partecipai al festival di Sopot, nel nord della Polonia, vicino Danzica. Fui contattato dall’organizzazione tramite la mia etichetta italiana proprio mentre ero impegnato nel "servizio civile". Chiesi ed ottenni la licenza per poter partire. Ero il concorrente italiano di un festival internazionale che si svolgeva ogni anno. Da Varsavia presi un piccolo aereo ad elica con a bordo un soldato armato di fucile, ben piantato davanti alla cabina di pilotaggio. C'erano 50 gradi, niente da bere, niente da mangiare. A Danzica i trattori trascinavano le valige da una parte all'altra della pista. Pensai: ecco il vero Est europeo!
Alloggiavo a Gdynia, insieme ad artisti provenienti da tutto il mondo. Per i polacchi era una zona abbastanza "out". Il polacco medio non poteva frequentare quegli ambienti ovattati. Mi ritrovai catapultato in una specie di Festival di Sanremo, della stessa importanza, in diretta televisiva, 20-25 milioni di audience ogni sera. L'orchestra contava almeno trenta elementi. Presentai i miei pezzi dance (arrangiati per l’orchestra) di fronte a milioni di persone che dal giorno dopo mi avrebbero eletto piccolo eroe, idolo per i giovani che a quei tempi non avevano la possibilità di conoscere gli artisti internazionali. Molti artisti occidentali non andavano nei paesi socialisti perché non pagavano in valuta convertibile. Un contesto con organizzazione rigida, ferrea, fatta di permessi, firme e un ambiente concepito per le sole esigenze televisive. La gente comune era tenuta lontana da quella realtà. Il festival si svolse all’interno di una foresta, in un anfiteatro scoperto. I polacchi potevano assistere alle serate, ma i dischi non si trovavano. Ebbi un discreto successo che diede il via ad una serie di tournées. Mi esibii in molte città polacche... Varsavia, Danzica, Poznan, Wroclaw, Katowice e anche in un palchetto di provincia per i generali della milizia! Era una realtà che veniva manipolata ad uso e consumo di chi organizzava gli eventi per ottenere benefici, nient'altro che una manovra politica filo-governativa. Ai cantieri di Danzica cantai di fronte a giovani operai inneggianti a Solidarnosc... era un momento critico! Al mio ritorno a Varsavia (2° viaggio) fui fermato dalla Milizia. La città in quei giorni era teatro di pesanti scontri. Fui perquisito perché non avevo i documenti (lasciati in albergo). L'atmosfera era molto tesa. Aria di cambiamento. Durante le altre tournées potei condividere un po' del mio tempo con gente che faceva parte di Solidarnosc. Mi portarono a visitare la chiesa del prete ucciso anni addietro dalla milizia.
continua...