Stesso “clima umano” in Jugoslavia. Nei ristoranti a gestione statale potevano passare ore prima che ti servissero qualcosa. Mangiai cose incredibili e non si capiva mai cosa mettessero nel piatto. Vana fu il più delle volte la ricerca di ristoranti “non statali”. Gli “statali” avevano degli orari prefissati per mangiare, c’era un orario di entrata e di uscita. I camerieri erano scassatissimi! In queste situazioni vidi la rappresentazione concreta dell’immaginario occidentale del socialismo. Quando si aveva a che fare con qualcosa di governativo saliva l’angoscia, per le code, i tempi lunghi. Passare la frontiera per entrare in Jugoslavia non era cosa da un minuto. I doganieri prendevano i documenti, sparivano dentro l’ufficio e dopo un bel po’ ritornavano. Ma alla fine, con molta pazienza, si riusciva a fare tutto.
La mia prima visita risale all’estate del 1983, in occasione di una vacanza in moto con il mio fidanzato. Percorremmo buona parte della costa adriatica, partendo da un punto a nord di Spalato. Ci piaceva fare campeggio.
La moto ebbe dei problemi e fummo ben assistiti dai meccanici jugoslavi. Ci dissero subito che il mezzo si poteva riparare, non era un grave guasto, ma c’era da aspettare. Grazie all’efficienza “socialista” non esistevano cose impossibili!
Tornai ancora in Jugoslavia per una vacanza in camper al mare, a sud, non lontano dal Montenegro. Le vacanze al mare in Jugoslavia erano molto convenienti rispetto a quelle che avrei potuto organizzare in Italia. C’erano pregiudizi nei riguardi di questo Paese. La gente in Italia non diceva mai “ah sì, bello! ci andrò anch’io!”.
Molti jugoslavi parlavano italiano e ne rimasi colpita. Ebbi l’impressione che stessero ricercando qualcosa dell’occidente. La gente, per esempio, aveva la mania delle magliette con le scritte o dei jeans: gli piacevano le “americanate”. Ancor di più a livello musicale!
Indimenticabile Mostar! La visitai per ben due volte, sia in moto che in camper, e il suo bellissimo ponte... Questa zona era già turistica, c’erano molti negozietti. In seguito, nel corso della guerra balcanica, fu teatro di aspri combattimenti. Assieme alla città bombardarono i miei ricordi. Pensai ai luoghi visti, alle persone conosciute…
Il viaggio in Cecoslovacchia può essere ricordato per i miei “acquisti socialisti”.
Giunsi a Praga in treno, con un’amica e un amico, per trascorrervi le vacanze di Pasqua, credo nel 1987. Ci eravamo procurati una guida “Clup”. In un capitolo spiegavano che, recandosi in una determinata piazza, si potevano trovare persone che avrebbero proposto soluzioni alternative agli hotel, cioè le loro abitazioni. Scesi dal treno, camminammo fino alla piazza menzionata nel libro e fummo presto avvicinati da una signora, che ci concesse l’uso del suo appartamento, in periferia. I termosifoni erano roventi, la casa caldissima. Tante porte, tante stanze, ma piccole, come in Asia. Io e la mia amica avevamo a disposizione la camera da letto, che non aveva finestre. Il nostro amico Enrico dormiva sul divanetto in sala. Quante cose “plasticose” in giro! Il rivestimento del tavolo, oggetti fuori corso, non decadenti, ma del tipo “casa della nonna”, cose passate. E tanto cibo in scatola.
Feci acquisti. Scatolame, la spilletta dello Sparta Praga e, soprattutto, il prosciutto di Praga che portai a mamma e papà da assaggiare. I miei genitori gestivano una salumeria. Fu curioso sentire il loro commento, infatti sostenevano che questo prosciutto non era stato affumicato come il “Praga” che si vendeva in Italia.
Praga era bellissima, ma gli abitanti mi sembrarono persone poco solari, i visi erano duri.
I bar restavano aperti fino a tardi, noi andavamo in giro anche la sera. Facevamo dei tour con i mezzi pubblici da capolinea a capolinea, per curiosare. Una sera trovammo una birreria così affollata che dovemmo rinunciare ad entrare.
Praga si rivelò piuttosto vivace. Nessun problema dal punto di vista della sicurezza, né qui, né negli altri posti!
Enrico era molto insofferente, li trovava maleducati, rudi. Era scocciato e innervosito da questo loro aspetto cupo. Io, quando viaggio, mi adatto e non penso mai che il tipo del posto ce l’ha con me perché sono straniera, non me la prendo per il trattamento che ricevo. Sono caratteristiche dei popoli che visiti.
I miei coetanei di Varsavia e di Praga sembravano degli “adulti cresciuti”, tutti sistemati, con famiglia…Le donne dell’Est avevano il viso rubicondo ed erano grandi lavoratrici. La “nostra” signora di Praga girava sempre con un bellissimo foulard in testa che non tolse mai in nostra presenza. Chissà di che colore erano i suoi capelli…
giovedì 16 aprile 2009
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divertente leggere questa storia mi ritrovo molto con quello che ho vissuto passando il confine tra l'unghria e l'ucraina del 2009
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