Questo è il racconto di una donna che abita lontano dall’Italia e che si trova qui per pochi giorni all’anno. Grazie all’intermediazione di amici comuni è venuta a conoscenza del mio progetto e si è detta subito disponibile.
Isa transitò dalla Polonia nel 1987, a ventisette anni, non proprio per scelta. In precedenza aveva infatti comprato un biglietto aereo per la Thailandia, per trascorrervi le vacanze di Natale insieme al suo fidanzato. Il vettore che offriva la soluzione più economica era Lot, la compagnia di bandiera polacca. La tratta di ritorno, considerata la lunga sosta tecnica a Varsavia (2 giorni), includeva il costo di un pernottamento.
Tornavo allora dalla Thailandia, Paese del sorriso. Era stato il mio primo viaggio in Asia: spiagge, sole... Arrivata a Varsavia, appena scesa dall’aereo, cominciai a perdere sangue dal naso! In Thailandia c’erano più di trenta gradi. A Varsavia un freddo da pinguini! Sotto zero. Un dramma, da far spavento! Ci accompagnarono in hotel. Sulle mura esterne era stato appeso uno striscione, con scritte in polacco, ma sicuramente di Solidarnosc. Era in corso uno sciopero del personale della durata di due giorni. Di conseguenza il servizio si rivelò pietoso. Per cena, nel freddo e spoglio ristorante, ci servirono una foglia di insalata e un uovo sodo.
Alla reception trattennero sia il biglietto aereo che i passaporti, fino alla partenza. Non ci lasciammo intimorire. In albergo c’erano altri due ragazzi italiani con cui si faceva “comunella”. Ci avventurammo prendendo il tram tutti insieme ad una fermata posta su un grande viale alberato. Io avevo ricordi letterari di Varsavia, la credevo una Parigi del nord. Nella mia testa c’era una città affascinante. Vi era nata Marie Curie, Chopin vi aveva studiato: immaginavo che avesse un aspetto romantico! La città vecchia era in effetti molto bella e scoprii che il centro era stato ricostruito con cura. Il mio fidanzato ne parlava bene, lui aveva studiato arte. Quanto ai palazzi in stile socialista, i “casermoni”, erano proprio come ce li aspettavamo.
“Freddo umano”: è un’espressione che uso per indicare i tanti ubriachi per strada, in centro, gente trascurata e rissosa. Insomma, quello era il socialismo come solitamente veniva “venduto” in Italia: freddo, buio e poco umano. Passanti imbronciati, come i milanesi di oggi. La sera, in giro, notammo che gli esercizi chiudevano presto e si vedevano ovunque persone alticce. I poliziotti erano veri “marcantoni” in grandi cappotti. Sembravano prodotti in serie, tutti così ben piazzati!
Amo l’organizzazione e quello che poteva piacermi del socialismo era ciò che la maggior parte delle persone indicava come suo aspetto dominante. La città nel suo carattere ordinato, nella sua linearità, non mi dispiacque affatto.
Ma io avevo altre attese da questo stop a Varsavia, accresciute dall’episodio della lunghissima resistenza ai nazisti: giorni e giorni di lotta...
Fu una delusione, forse dovuta al fatto che provenivo dalla Thailandia: un contrasto troppo forte.
continua...
lunedì 13 aprile 2009
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