Deviammo per Praga. La macchina era piena di fango, sembrava un’auto da rally. Soggiornammo per una settimana intera in un albergo del centro. Non si poteva parcheggiare liberamente, ma studiai un escamotage. Considerato che avevamo prenotato tramite l’Associazione degli Alberghi Cecoslovacchi, lasciammo il volantino dell’associazione e il depliant dell’hotel in bella mostra sul cruscotto. Tutti i vigili che passavano per fare la multa alla fine notavano i depliant e desistevano. Il nostro era l’unico hotel di quella via a non disporre di un parcheggio per i clienti. La macchina restò ferma una settimana. Utilizzavamo i mezzi pubblici. Non dimenticherò facilmente i videoclip di musica cubana proiettati nei mezzanini del metro. Praga si rivelò molto più tranquilla di Budapest. La parte nuova, però, era orribile. Come “vita” era meglio Budapest, che aveva locali jazz, locali rock. In giro per Budapest potevi sentire musica degli Iron Maiden! In Cecoslovacchia si percepiva un maggiore senso di oppressione, la gente era più triste.
In tangenziale i poliziotti ci fermarono più volte, continuavano a rompere, con fare cattivo. Rendendosi conto che tutto era in ordine, diventavano cordiali. Fummo obbligati a portare la macchina ad un’officina. La Fiat si trovava dall’altra parte della città. Un signore ci consigliò di rivolgerci alla più vicina Renault. Ci accompagnò e ci fece persino saltare la fila. Sistemarono la macchina e non volevano soldi. Io regalai mille corone al meccanico che l’aveva aggiustata. L’officina aveva macchine occidentali, belle, come la Golf e altre che in giro non si vedevano.
Ci furono diverse scampagnate e visite, come quella alla fabbrica Skoda - vista solo dall’esterno - e agli impianti della birra Pilsner a Plzen, che in verità ci delusero: capannoni brutti, messi male, niente da rilevare. Plzen sembrava una città tedesca, con i numerosi tram, i viali lunghi e deserti, senza nessuno in giro. Karlovy Vary, città termale, era bellissima. Dormimmo in camere singole, con la radio. Particolare che ci fu fatto notare al check-in. Peccato che le trasmissioni fossero in lingua cecoslovacca! Non passavano neanche un po’ di musica. Le prostitute in hotel erano tante e ci fu anche un piccolo scandalo. Protagonisti alcuni mediorientali con due ragazze cecoslovacche. Alla fine della serata i mediorientali non volevano andare con le ragazze e loro piangevano perché non potevano concludere. Le avevano rifiutate e a loro saltava la serata. Tornammo in Italia.
L’anno dopo era il 1987: capodanno a Berlino Ovest. Attraversate le Alpi e la Baviera, prendemmo l’autostrada che portava dalla Germania Federale a Berlino Ovest . La campagna era bruttissima, sembrava un "day after", ricordava Chernobyl, spoglia... Non si potevano superare i 110 km l’ora. Ad un certo punto vidi un lampo. Pensai “vuoi vedere che ci hanno fatto la multa, che abbiamo superato il limite?” e infatti, dopo un po’ di chilometri, ci accodammo a macchine tedesche occidentali in fila, ferme per pagare la multa. Noi con loro. Quaranta marchi. Con la foto. Ripartiti, dopo venti chilometri fummo affiancati dalla 124 della polizia tedesca con l’agente che urlava in italiano dal finestrino “ueh! bel viaggio? tutto bene? perché non mettete le cinture di sicurezza?” Quaranta marchi. C’erano altane da tutte le parti, con soldati che controllavano. Da lì non si poteva fuggire. Finalmente arrivammo a Berlino Ovest e al controllo documenti. Passammo ad Est dal check-point Charlie. Imbracciavo l’ombrello a mo’ di mitra, per scherzare. Il soldato col colbacco e la stella fece il duro all’inizio, poi divenne gentile. Prese addirittura la cartina e ci indicò le cose da non perdere: le ambasciate americana e russa; l’Opera; la torre della televisione; musei vari… Le donne sembravano uscite dal set di "Star Trek", con quelle tutine anni Sessanta… La parte vecchia di Berlino era diroccata, la tenevano così apposta per far ricordare gli avvenimenti della guerra. Ad Ovest prendevamo spesso il metrò che faceva il passaggio sotterraneo ad Est. I mezzanini di questa linea erano chiusi da reti di ferro, erano fermate non arredate, e si vedevano i poliziotti di guardia. Solo ad una stazione era permesso scendere per entrare in DDR, ma ovviamente c’era il controllo documenti. I locali sparavano musica cubana a tutto spiano. Ci capitò di girare insieme ad altri italiani, in tutto eravamo forse una decina. In un bar ordinammo dei dolci e, nell'accomodarci, unimmo i tavoli. Niente di strano. Fummo sgridati da un furioso cameriere: “Non si può! (Assembramento!) Mettetevi dove ci sono tavoli liberi!”
La gente, in generale, era molto cordiale. Un signore mi lasciò curiosare nella sua Trabant, mentre l’aggiustava.
Ci concedemmo il piacere di un pasto all’Opera, allietati da un chitarrista, con del buon cibo che costava pochissimo. Bellissimo!
giovedì 30 aprile 2009
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