Lasciammo Budapest alla volta della Cecoslovacchia. L’autostrada era brutta, gibbosa, chilometri di gibbosità a pagamento. Alla frontiera venne a controllarci una poliziotta. Io indossavo un cappellino vietkong e lei lo voleva per sé: “Tu fai un bel regalo a noi cecoslovacchi”. Io le dissi che non facevo un bel regalo di niente. Purtroppo scoprirono il walkman nascosto sotto il sedile. Misero gli specchi sotto la macchina per l’ispezione, ma alla fine la vinsi io, senza perdite. Una volta entrati in Cecoslovacchia notammo che il paesaggio mutava. Diventava duro, più nordico, meno mediterraneo. L’Ungheria, alle nostre spalle, aveva molto del mediterraneo. Fummo subito colpiti da una serie di immagini di forte impatto: prima un bellissimo campo da calcio solcato da due squadre di ragazzini con le maglie rosse, belle, poi l’entrata in scena della simbologia comunista: falce e martello. Non si trovava “benzina privata”. Inoltre, in teoria, non era permesso soggiornare in appartamento.
A Bratislava erano continui i controlli per l’alcol. I poliziotti aspettavano regolarmente che, uscito dal bar, accendessi il motore per venire a rompere. Bevevo molta coca-cola perché guidavo io. Cambiammo soldi in nero dal facchino. Uscendo incontrammo una ragazza molto bella che ci si rivolse in italiano “Ciao milanese! Tutto bene? Senti, vuoi andare in città, io ti porto in giro”. Ci portò a vedere la casa di Havel e un sacco di altre cose. Poi l’accompagnammo a casa. Accese la tv sul canale austriaco. L’appartamento era bellissimo, molto simile a quelli occidentali. Noi eravamo un po’ insospettiti. Poteva essere una confidente della polizia alla ricerca di informazioni. Ci disse che, per la sera stessa, avrebbe preparato una torta e ci invitò a tornare. Nel frattempo arrivò una sua amica bionda che conosceva qualche parola di inglese. La prima ci spinse ad uscire con questa ragazza. Anche lei era molto bella. Dopo un ulteriore giro in città, la bionda ci riaccompagnò in hotel. Fissammo un appuntamento per poi raggiungere la ragazza della torta. All’ora stabilita scendemmo nella hall e lei intanto si era comprata le Marlboro, con la scusa che stava con noi. Le domandammo dell’amica, che non arrivava. Arrivò invece un’altra sua amica, poi un’altra ancora e alla fine ci dissero che la prima non sarebbe arrivata più. Proposero allora di andare a ballare. In macchina si lamentavano perché non avevamo lo stereo: “Italiano senza radio!”. Guidai fino alla discoteca di un grande albergo. Presto si formò al nostro tavolo una grande adunata. Ci presentarono cugini, nipoti… Il cameriere mi chiese se doveva segnare ogni volta che mi portava da bere, e io gli dissi di segnare pure, così ogni volta lui metteva un trattino. Vidi però che prendevano da bere anche gli altri e lui segnava, segnava, segnava, segnava... Ad un certo punto il mio amico, che era tirchio, mi confidò un sospetto: “Gianni, ma questo mi sa che dobbiamo pagarlo tutto noi, questi non tirano fuori una lira!”. Per noi c’erano prezzi occidentali! Mi misi d’accordo col mio amico per riuscire a pagare solo le nostre consumazioni. Poi feci finta di andare a fare un giro. Gli ospiti erano tranquilli, allegri, distratti. Raggiunsi il bancone e chiesi di pagare la birra del mio amico, la coca che avevo bevuto e le rose. “E il resto?” mi chiesero. “Loro!” sentenziai. Il barista non mi credeva: “Come, loro?” e io ribadii “Loro!”. Avevo una gran paura, fuori poteva fermarci la polizia e far storie perché non avevamo pagato. Ma il mio amico mi tranquillizzò dicendomi che non sarebbe capitato nulla. Pagai il mio conto, lui si risedette e mi fece cenno di andare verso il bagno, che era vicino alla scaletta per uscire. Come d’accordo, uscii e… fregatura! Arrivò la polizia a farmi l’esame del tasso alcolemico: mentre soffiavo, sentii arrivare il mio amico. Ce l’aveva fatta! Gli dissi che sarebbe successo un casino con la polizia che ci bloccava e quelli che prima o poi sarebbero usciti dal locale a cercarci. E invece finii l’esame appena in tempo. Partii e vidi uscire la tipa bionda dalla discoteca che gridava “Gianni! Gianni!” Il mio amico si affacciò dal finestrino e le urlò “Italiani sì, ma coglioni no!”. Ero preoccupatissimo, quella notte ebbi paura per la macchina... Il giorno dopo cambiammo albergo, per evitare sorprese. Passò un altro giorno a Bratislava tra un salto in birreria, un sacco di propaganda socialista, un incidente tra camion e tram ed un matrimonio in chiesa.
Di nuovo in macchina, ci dirigemmo ad una località di villeggiatura in montagna, al confine con la Polonia, Starý Smokovec. Tentammo senza troppa convinzione di passare la frontiera, ma non fummo abbastanza fortunati. L’offerta per il pernottamento era di soli cottage-monolocali e c’era molta gente della DDR in vacanza. Il paese era bello, tipo Cortina. Ci dedicammo alla birra e alle mangiate nei grandi posteggi per camion. Il mio amico chiedeva puntualmente il menu. Io gli chiedevo il perché, visto che non ci avrebbe capito niente e infatti non ci capiva mai niente. Avevamo però identificato e memorizzato quattro cose da ordinare. La birra annaffiava tutto. Non potevamo aprire il cofano della macchina per dare una controllata che... subito si formava un capannello di curiosi che volevano vedere il motore Fiat con gli occhi fuori dalle orbite! Provavamo a spiegare che era un’auto di merda, ma loro: “no no, buna buna!”.
continua...
lunedì 27 aprile 2009
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