Non abitavamo lontano dal centro di Lipsia, ma dominava il grigio. L’illuminazione artificiale era insufficiente: la sera era buio. I palazzi erano curati, ma cupi. Di sera le insegne erano ovunque spente. Il palazzo dell’Università “Karl Marx” era il mio preferito, il più bello dell’intera città.
C’erano pochi taxi in giro. Di notte, poi… La mia amica angolana, bella donna di colore, arrivata molto tardi alla stazione di Lipsia e stanca di attendere, decise di accettare un passaggio da un signore che si era fermato offrendosi gentilmente di accompagnarla. Era consuetudine che i privati, dietro compenso, si sostituissero alle macchine pubbliche. Gli diede il nostro indirizzo e la vettura partì. Lei conosceva la strada. In pochi minuti si accorse che stavano sbagliando direzione e si rivolse al guidatore interrogandolo sul resto del percorso. Lui restò zitto. Poi farfugliò qualcosa. Un attimo dopo prese una stradina laterale, la classica viuzza isolata. La mia amica realizzò a quale grandissimo pericolo stava andando incontro. Ad auto in corsa, aprì la portiera e si buttò tra i sacchi di spazzatura. Si nascose nel palazzo attiguo e attese che il malintenzionato sparisse. Si rivolse alla polizia. Rientrò scioccata. Le dissi che sarebbe stato difficile per i poliziotti intercettare il colpevole e che, magari, vedendola così, straniera, non le avrebbero nemmeno creduto e si sarebbero dimenticati tutto in breve tempo. Dopo due o tre anni si seppe di fatti di violenza su donne avvenuti nello stesso luogo e con le medesime modalità. Il principale indiziato fu arrestato. Lavorava nei pressi dello scalo ferroviario. La mia amica ne fu informata dalla polizia.
Dai giornali non trapelava mai nulla. Non c’era spazio per la cronaca nera. Di conseguenza, spesso la sera tardi, camminavo in perfetta solitudine fino al centro telefonico per le mie chiamate internazionali e non avevo paura di niente. [FINE]
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