Alla fine decisi di
restare a Lipsia e divenni aiutante in una clinica per la chirurgia
maxillo-facciale, in attesa di ripartire con gli esami. Nella clinica le mie
mansioni erano le più svariate.
Prestai servizio per un
anno. Chiesi ad una dottoressa di essere presente al mio ormai prossimo “nuovo”
esame di patofisiologia, soprattutto per capire se i fallimenti precedenti erano
da imputare a mie mancanze o ad altro. Lei purtroppo non venne. La compagna
tedesca, al mio fianco, rispose ad una sola domanda e passò l’esame. Io risposi
a due domande e fui respinta per la terza volta. Sembrava che il professore volesse
comunicarmi: perché insisti, perché ritorni?Cadde il muro. La Germania si sarebbe presto riunificata. Non volevo tornare in Marocco a mani vuote, ma a Lipsia le prospettive non erano buone. Un esame non fondamentale stava bloccando la mia carriera di studentessa universitaria.
Un’amica si era da poco trasferita ad Amburgo e, grazie all’aiuto di un collega siriano, potei disporre di una lista di indirizzi degli ospedali della stessa città. Mandai quindi curricula all’Ovest per tentare la carriera infermieristica, una perfetta combinazione di scuola e lavoro.
Mio padre adorava la DDR. Però la DDR non era un paradiso. Non esiste il paradiso sulla terra. Per studiare andava benissimo, non posso negarlo: quante possibilità! Ma non era credibile quel telegiornale senza notizie dall’estero, senza cenni ai problemi economici interni…
Per una serie di circostanze fortunate ottenni una carta di soggiorno con validità illimitata. Poco prima della fine dell’esperienza socialista della DDR fui chiamata in questura per ristampare la carta di soggiorno. In quel periodo bastava dimostrare di avere un fidanzato tedesco per vedersi rilasciare un libretto rosso, tipo carta d’identità, che rendeva i possessori “stranieri privilegiati”. Potevo quindi restare a mio piacimento.
Ad Amburgo cambiai rotta. Mi passò la voglia di insistere con la stomatologia. Rifare l’esame per la quarta volta non era possibile. La mamma mi chiedeva, ma hai studiato? Certo che avevo studiato. Io, a quel punto, volevo solo una cosa sicura: un diploma. Quando giunsero i miei documenti alla questura di Amburgo, notai una corposa cartella sulla scrivania del poliziotto: dal mio arrivo tutto era stato registrato. Ebbi qualche timore per l’eventuale contestazione della concessione del permesso di soggiorno illimitato, ma era tutto in ordine. Ci tenevo a restare. Dopo alcuni anni avrei ottenuto persino la cittadinanza.
Qualche accenno alla vita
di tutti i giorni.
A Lipsia imparammo il
tedesco parlando tra noi stranieri. Non si faceva sport. Si passava molto tempo
nell’ “internat”: si cenava insieme, si beveva un caffè... i mongoli facevano
gli involtini, i polacchi e i russi portavano la vodka… Niente discoteca. C’erano
feste dell’università, feste a tema. Fare la spesa per noi era già tanto! A
Casablanca era più facile trovare gli alimenti che occorrevano. A volte, a
Lipsia, si doveva fare la scorta di acqua tonica, perché poi spariva dagli
scaffali per settimane intere!Ogni tanto la mia caposala mi portava a fare l’aperitivo vicino alla stazione, nel bar di un hotel elegante. Passavamo la serata chiacchierando con infermieri della clinica.
Gita a Weimar. In pullman, giornata pesante, visita al campo di concentramento di Buchenwald, cancello aperto da un ex prigioniero… come un museo: tante foto e reperti dell’orrore, Frau Koch… ascoltare è una cosa, vedere è un’altra.
Prima di iniziare
l’università, nel settembre del 1985, appena tornata dal Marocco mi offrii per
la settimana del lavoro volontario e trascorsi una settimana a raccogliere patate
in campagna. Nessuno degli stranieri partecipò. Fui l’unica. Mi fu assegnato un
letto in una vecchia casetta e lavoravo accanto ad una signora anziana che non
mi capiva, che rideva con me e io ridevo con lei: molto gentile! Dopo il lavoro
uscivo con i colleghi tedeschi. Una sera pagai una bottiglia e loro ne furono sorpresi.
Non tanto per l’Islam, quanto per la disponibilità, l’autonomia, che a loro
dava da pensare. Anche i viaggi: a loro pesava non poter… le macchine, poi… io
avevo una vecchia Fiat, comprata in Polonia, con cui ebbi un incidente nel 1989.
La Trabant che mi venne addosso mentre facevo retromarcia per uscire da un
parcheggio perse completamente la parte anteriore… paraurti e altro… la mia Fiat?
Niente. Incredibile. Bisognava aspettare anni per un’auto dai colori tristi…
giallino, verdino... quando c’era la fiera a Lipsia le macchine dell’Ovest
risaltavano e facevano impressione.
Ogni tanto andavo a
Erfurt da mio fratello. Aveva una tv che riceveva canali occidentali: normale.
Lo seguivo alle feste. Lui aveva la moglie tedesca e una figlia. Ero zia. Mio
fratello si era sposato prima del mio arrivo. Ora abitano tutti a Casablanca. Mio
fratello, all’epoca della svolta, aveva trent’anni. Dopo la riunificazione
preferì tornare in Marocco. Sua moglie, ottica esperta, molto preparata, aveva
studiato a Jena (città di fama mondiale
per le studio delle scienze e per le industrie ottiche, nda). I tedeschi
parlano l’arabo meglio del francese! [continua]
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