Seguirono quattro giorni a Mosca. In principio, a causa dei continui spostamenti, sembravamo degli ubriaconi. Stare a Mosca era… come essere tornati a casa! Vidi le opere della Galleria Tret’jakov, ma non entrai nel mausoleo di Lenin. Preferii aspettare fuori e gustarmi quella meraviglia del cambio della guardia col passo dell’oca… Mosca fu: GUM, Raketa, cambio, pochi rapporti con le persone. C’era già molto turismo sulla Piazza Rossa e sull’Arbat (effetto Gorbaciov). Che strana impressione trovare le persone anziane all’ingresso delle metropolitane intente a chiedere la carità. Tutto era ancora in piedi! Le signore vendevano le cose di casa… le vidi lì per la prima volta nella mia vita. Parlammo con un taxista, uno di quelli che dicevano che così non si poteva andare avanti per molto, che doveva succedere qualcosa, che non ci rendevamo conto, che Gorbaciov era una persona adatta al contatto con l’estero e che somigliava ai nostri uomini politici, che era per questo che ci piaceva, che non somigliava a nessuno dei loro uomini politici precedenti, quelli non andavano bene ma neanche questo andava bene… Parlava di Chernobyl, chiedeva se ne avessimo sentito parlare, chiedeva cosa ne pensassimo. Più ci avvicinavamo ai problemi dell’URSS, più la conoscevamo e più ci accorgevamo che non ci stavamo capendo niente. Gorbaciov nella nostra visione era una cosa, nella loro visione era un’altra persona. Ci fece l’esempio di Chernobyl.
Trovammo sempre qualcuno disponibile a darci indicazioni o informazioni, non accadde mai che qualcuno ci dicesse “non ho tempo, non ho voglia”, anche se stava lavorando. Erano vestiti da Est. Non c’erano contaminazioni. Le scarpe erano brutte. Le scarpe erano una di quelle merci che non c’erano mai, merci da coda. Invece, i pattini da ghiaccio c’erano dappertutto, anche in Uzbekistan. La città non mi parve trascurata, solo un po’ malinconica.
Visitai Praga molto prima dell’URSS. Vi arrivai nel 1985 con due amiche, in treno, via Vienna. Trovammo un albergo per trascorrervi il Capodanno. Un freddo… bellissimo, con la neve. Fuori era pieno di gente. Passammo il Capodanno in un dopolavoro, in una tipica sala praghese dell’Ottocento, con divani, velluto, orchestrina un po’ triste, la champagnaskaja (avevano prodotti russi), signori di cinquant’anni che ci invitavano a ballare facendo l’occhiolino, divertente… fuori c’era una montagna di neve!
A Praga non ci fu modo di relazionarsi, erano diversi dai russi, ma i signori ballerini furono molto gentili e corretti.
Dormimmo in due alberghi. Tre notti nel primo, molto bello, il resto del soggiorno nel secondo. La stanza, caldissima, era grande due volte casa mia. Andavamo a mangiare nelle Kavarna, sempre piene di gente del luogo. Una volta, arrivando tardi, trovammo la cucina chiusa (chiudevano alle ventuno e trenta) e optammo per una birreria che aveva delle cose un po’ raffazzonate. Ci ronzavano intorno gruppi di maschietti italiani. Purtroppo non imbroccammo mai con i cechi, che erano molto carini. Prima di ripartire, conoscemmo un ragazzo di Modena che era venuto a trovare lo zio comunista. Il buon uomo, dopo la guerra di liberazione, aveva pensato che, se il comunismo non si poteva far arrivare in Italia, vi ci sarebbe andato lui. Giunto in Cecoslovacchia, si era sposato e non era più tornato. Domandammo al giovane dei pensieri di suo zio. Lo zio diceva di essere un po’ deluso per com’era andata.
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