Partimmo per l’Uzbekistan. Taskent, città poco interessante, rasa al suolo dal terremoto del 1966 e completamente ricostruita, conserva un monumento, un grande cubo saettato spaccato in due, a memoria dell’evento disastroso. Dormivamo al decimo piano di un mastodontico albergo, un'altissima torre. Affacciandosi alla finestra, tenendo come riferimento gli altri palazzi, si poteva percepire chiaramente un’oscillazione. L’impressione fu grande. Barbara diceva che lì si muoveva sempre tutto e che erano abituati ai terremoti.
Da un punto di vista monumentale e architettonico non c’era molto da vedere. Bello il clima, 40 gradi ventilati! Colori violenti, piante, fontane dappertutto, bambini dentro le fontane, gente in giro. Visitammo un bruttissimo monumento ai caduti, dove gli sposi andavano a fare le foto. Sul piccolo aereo ad elica, che da Taskent portava a Samarcanda, viaggiammo coi meloni, meloni che andavano da tutte le parti. Sotto di noi si stendeva un deserto brutto, piatto, fatto di terra e cespugli secchi. Samarcanda doveva sembrare un miraggio per chi vi si recava a piedi, o con gli animali, nel passato. Alla fine del deserto c’è una cosa blu: è Samarcanda! Fantastica la grande piazza delle tre medressa colorate di blu turchese! Nel primo cortile di una di esse mi lasciarono entrare, ma non oltre… sono una donna.
Samarcanda era speciale… città bellissima che, all’epoca del viaggio, cadeva un po’ a pezzi… la stavano restaurando. Dopo la visita all’osservatorio astronomico di Ulughbek e al solito museo folk, ci separammo dal gruppo per gustare l’atmosfera del mercato tipicamente orientale. Lunghissimi banchi, montagne di verdure, colori pazzeschi, il “testaio” che vendeva teste di animale coperte dalle mosche, stoffe tradizionali che tutti indossavano, pantaloni fatti a strisce di tutti i colori. Sergio e un altro ragazzo portavano i classici bermuda. Gli si avvicinò una signora uzbeka. Preso Sergio sotto braccio, lo condusse fino ad un banco dove vendevano pantaloni lunghi. Il messaggio era: sei un uomo, non devi portare i calzoncini corti! I ragazzi si comprarono dei pantaloni lunghi e li indossarono subito. Lei era tutta contenta. Ci chiese da dove venivamo… “Ah l’Italia!”. Sembrava di essere fuori dal mondo. Cosa avevano di strano le persone? Avevano gli occhi azzurri su una faccia mongola!
I viaggi tradizionali non prevedevano la visita del mercato. Comprai degli orecchini molto carini, contrattando un pochino. Nessuno ci chiese niente, né Raketa, né cambio. Ci chiedevano dell’Italia, di Firenze, qualcuno sapeva cosa c’era a Firenze, erano molto incuriositi dal fatto che fossimo in mezzo al mercato da soli. Comprammo delle stoffe facendo un po’ di scena, un po’ di contrattazione da loro tanto gradita. Io detesto contrattare, ma, per stare al gioco, contrattavo anche sul mezzo rublo per poi comprare al prezzo che volevano. Vendevano cose bellissime.
La sera ci fu uno spettacolo di luci e suoni in piazza. Raccontavano, nella loro lingua, dell’epopea di Tamerlano.
continua...
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