Un enorme contenitore di colori, odori, luci e personaggi delle più svariate latitudini: questo è il viaggio di Mariangela in Unione Sovietica.
Era il 1989. Avevo trent’anni. L’agenzia ETLISIND aveva elaborato un itinerario massacrante che ci avrebbe portati a Leningrado, Mosca, Jerevan, Tbilisi e, soprattutto, a Taskent e Samarcanda (per noi le top della lista!) in Uzbekistan, d’estate, in ventitre giorni caratterizzati da un continuo salire e scendere dagli aerei, che alla fine ci fece provare un senso di totale spaesamento. Volammo da Milano a Mosca e, il giorno dopo, da Mosca a Leningrado. Eravamo un po’ preoccupati per questo tipo di viaggio, ma non c’era alternativa. Per compiere un giro del genere in autonomia sarebbero servite troppe cose: capacità organizzativa, tempo e molti soldi! Per non parlare dei visti!
Il tour iniziò all’insegna della rapidità di spostamento e di visita delle principali attrattive. Dopo soli tre giorni a Leningrado, partimmo per Jerevan. Ciò voleva dire lasciare qualcosa di nordico, un certo clima, una certa architettura, una certa luce, per Jerevan nel Caucaso. Facce completamente diverse! Come quando dalla Georgia, dove il clima è temperato come quello dell’Italia del Sud, dove si stava molto bene, tra persone fisicamente come noi (non hanno tratti molto diversi dai nostri), passammo in Uzbekistan. Gli uzbeki avevano qualcosa di strano, tratti mongoli ed occhi azzurri…
Prima tappa impressionante. Leningrado è una città dall’aspetto europeo, con grandi palazzi e strade larghe. In estate ha un clima meno problematico di quello invernale. Sembrava una città abbandonata, senza cure. I tram “ballavano” su binari incastrati allo sconnesso fondo stradale. In alcuni tratti le rotaie erano discontinue! I negozi sovietici… una povertà… una “melina” triste, solitaria, conciata: non c’era nulla. La città però era bellissima, con i suoi monumenti e i canali… che atmosfera!
Desideravamo staccarci il più possibile dal gruppo. Con noi, oltre ad una coppia di Livorno, con cui legammo e che avremmo rivisto in Italia, c’erano degli sfegatati comunisti per i quali tutto era perfetto e fantastico e bellissimo, ma c’erano anche i critici, che imprecavano contro le cose che non andavano bene. La cosa divertente era che noi volevamo sganciarci per andare in giro, ma alcune cose di quelle organizzate erano davvero molto curiose, in chiave sindacal-filocomunista. In ogni città si visitava il museo di arte popolare. Alcuni si rivelarono interessanti, altri meno…, Il museo di Jerevan ospitava i tappeti più belli del mondo, dal ‘200 ad oggi. Ci risparmiarono le gite in fabbrica che, invece, fino a qualche anno prima tiravano molto. Per Leningrado era stato previsto un intero giorno da trascorrere all’Ermitage. Di fronte al museo alcune signore tipicamente russe, truccate da matrioska, che avevano un “non so che” del nostro Sud, pesavano le persone. Ogni tanto qualcuno passava, gli dava una monetina e si pesava. Dopo aver visto la collezione dell’Ottocento, che ci interessava maggiormente, scappammo verso la Prospettiva Nevski per camminare e per vedere le librerie. Io studiavo russo e cercavo libri che avrei poi potuto leggere se avessi proseguito nello studio della lingua, com’era nelle mie intenzioni. La mia biblioteca personale conserva un libro che riporta un carteggio tra Dostoievski e un altro signore, un testo con copertina rossa e scritte dorate. I libri, tutti finemente rilegati, costavano pochissimo. Lì si vedeva il comunismo: bei libri a basso prezzo. Qualcuno potrebbe obiettare: sì, ma che libro? solo quello che è permesso leggere. Però, quello che è permesso è bello e costa poco! Entrammo in una bellissima libreria con grandi scaffali in legno e banconi zeppi di libri: passammo le ore cercando di comprendere il significato delle scritte sulle copertine!
continua...
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