I dolci erano buonissimi, spettacolari, eccezionali le pasticcerie, che sfornavano torte favolose, al cioccolato, alla frutta, ottime! Non mancavano le pietanze, le carni, spezzatini pesanti, ma ben fatti. Poi, sui treni, i grandi wurstel, di fegato, bianchi, i bratwurste, i wurstel da spalmare, i crauti, i rollmops (alici marinate che avvolgono dei cetrioli in salamoia), insalata di patate, gulasch. Non avevano i “primi”. Ci furono grandi bevute di birra. A Radeberg sorgeva un immenso stabilimento in cui producevano la “Radeberger”, una birra chiara. Bottiglie di vino? Potevano esserci. Pochissimi i liquori! Come superalcolico spesso si serviva vodka oppure quei liquori dolci, tipo sherry, “Amaretto di Saronno”. Andavano fuori di testa per l’Amaretto di Saronno! Avevamo portato della pasta, ma la materia prima non la sapevano trattare. La prima serata fu memorabile. Mio zio, affettuosissimo, mi fece prendere una sbronza di birra e vodka che vomitai la notte stessa.
Loro erano contentissimi di averci lì.
Girovagare era piacevole. Spostandosi in macchina si potevano apprezzare le particolarità del luogo, della campagna, con le sue piccole fattorie e le accoglienti trattorie: ci si fermava, si entrava e ti portavano il wurstel con i crauti, le patate, piatti curati, la birra.
Una delle discriminanti del vivere nella DDR risiedeva nella circostanza di abitare o non abitare a Berlino. Vidi anche lo squallore, case fatiscenti tipo Baggio o Selinunte (quartieri popolari milanesi, ndb). In quei casi provai senza dubbio una sensazione di abbandono.
Era evidente che nessuno avrebbe dato un marco per la salvezza della DDR. All’inizio ero su toni del tipo “ma guardate, l’occidente non va…”. Però, pensando di dover vivere lì… non stiamo parlando mica del Vietnam, ma lì era un problema… non si usciva mai per andare in un luogo di ritrovo…
Soprattutto mancava la possibilità – che per un giovane è vitale - di poter uscire dai confini e andare per il mondo a vedere il più possibile: un giovane deve avere questa spinta.
Quello che mancava completamente era la dimensione frizzantina della lotta di classe, che trovai invece in Russia, nel 1993, quando capii che anche l’ultimo degli stronzi con cui mi mettevo a discutere riusciva a tenermi testa nel discorso. In ogni dibattito i russi lasciavano intendere: non pensare di poter parlare con me di politica facendo troppa ideologia! Erano capaci di affrontare le questioni in maniera lineare, diretta. E questo lo riscontrai a tutti i livelli. C’erano molte persone in grado di contestare profondamente l’Unione Sovietica, piuttosto che la CSI di allora, usando la dialettica. Nella DDR queste persone non esistevano. In Russia i retaggi della rivoluzione del 1917 erano concreti e furono poi evidenziati dalle cronache dei gravi scontri per il malcontento dovuto ai cambiamenti sopravvenuti nei primi anni ’90.
Questi ricordi rimarcano la sostanziale differenza esistente tra un paese dove il proletariato inizia autonomamente la rivoluzione, compiendola, e un altro paese dove la rivoluzione (“imboccata”) si realizza soltanto perché predeterminata da ragioni di spartizione legate alla politica internazionale.
lunedì 11 maggio 2009
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