Presentazione del blog

Dall’intervista di Antonio (Mosca 1980), parlando del suo rientro in Italia:

<… Durante la lezione di geografia di una prof sicuramente poco comunista (o poco simpatizzante ogni volta che si parlava dell’Urss) sentii predicare “in Urss non c’è questo, non c’è quello… non ci sono le macchine...” e io, beato, con tutto il gusto proprio di un bambino, alzai la mano e le dissi “prof, non è assolutamente vero che non ci sono macchine, io sono appena tornato da Mosca e Le assicuro che c’è un traffico della Madonna!”. Lei rimase di sasso...>

Non cercavo soltanto un libro che descrivesse la vita quotidiana dei lavoratori nei paesi socialisti. Per me era importante l’identità dello scrittore, la sua professione.

Storico? Giornalista? Politico? Ambasciatore? No, grazie. L’autore del libro che non sono mai riuscito a trovare sarebbe dovuto essere uno come tanti, magari un operaio/a, un impiegato/a, una persona qualunque, un tipo pulito. Avete mai provato a prendere in mano i testi in commercio sull’argomento? Vi siete resi conto che sembrano fotocopiati? E continuano a sfornarne di nuovi! Vi è mai capitato di soffermarvi sulle risposte dei principali quotidiani nazionali ai quesiti dei lettori interessati alla storia del socialismo reale? I commenti sono preconfezionati! Sono sempre gli stessi! Superficiali, piatti, decontestualizzati, buoni per il “consumatore di storia” massificato. Non parliamo dei documentari. Diamine! La storia è una cosa seria. E’ la memoria! Non bisognerebbe neanche scriverne sui giornali!

Ciò che mi fa salire la pressione è il revisionismo. Passa il tempo, i ricordi sbiadiscono e una cricca di farabutti si sente libera di stravolgere il corso degli eventi, ribaltare il quadro delle responsabilità e di combinare altre porcherie che riescono tanto bene agli scrittori più in voga. Tale è l’accanimento… vien da pensare che il Patto di Varsavia esista ancora da qualche parte!

Un giorno mi sono detto: io non mi fido, il libro lo scrivo io.

Ho iniziato a rintracciare gente che si fosse recata nei paesi socialisti europei prima della loro conversione all’economia di mercato. Ho intervistato quattordici persone esterne ai giochi di potere e libere da qualsiasi condizionamento (eccezion fatta per le intime convinzioni proprie di ciascun individuo che non mi sento di classificare tra i condizionamenti). I loro occhi sono tornati alle cose belle e a quelle brutte regalandomi un punto di vista diverso da quello dell’intellettuale o dell’inviato televisivo. Grazie ad alcuni libri di economia usciti nel periodo 1960-1990, ho tentato di rispondere ai quesiti sorti nel corso delle registrazioni.

http://viaggipianificati.blogspot.com/ è l’indirizzo web dove è possibile leggere le straordinarie avventure a puntate di italiani alla scoperta del vero socialismo e delle cose di tutti i giorni. A registrazione avvenuta, è possibile lasciare un commento.

Visitando il blog potrete idealmente gustarvi un’ottima birretta di fabbricazione “democratico-tedesca” seduti in un bel giardino della periferia di Dresda, nuotare nella corsia accanto a quella occupata da un “futuro” campione olimpico ungherese, discutere coi meccanici cecoslovacchi, e… molto altro. Buon divertimento!

Luca Del Grosso
lu.delgrosso@gmail.com


Il libro "Viaggi Pianificati" è in vendita ai seguenti indirizzi:

http://www.amazon.it/Pianificati-Escursioni-socialismo-europeo-sovietico/dp/1326094807/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1461691231&sr=8-1&keywords=viaggi+pianificati

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in formato cartaceo o "file download" .





domenica 9 maggio 2021

Storia di un soldato sovietico - Ricordi per la celebrazione dell'Anniversario della Vittoria.

 https://it.sputniknews.com/punti_di_vista/202005069044769-storia-di-un-soldato-sovietico/

Articolo di Luca Del Grosso, pubblicato su SPUTNIKNEWS.COM

 


Storia di un soldato sovietico
Ricordi per la celebrazione del 75° Anniversario della Vittoria.

Per festeggiare degnamente il 75° Anniversario della Vittoria sui nazifascisti, ho deciso di farmi un regalo e di intervistare Elena, una signora moldava di origine russa, il cui padre ha combattuto nelle file dell’Armata Rossa dal 1941 sino all’assedio di Budapest, conclusosi nei primi mesi del 1945. Suo padre riuscì a tornare a casa, ma, dai particolari della storia, si vedrà che ciò accadde solo per miracolo. Morì molto più tardi, in era Brezhnev. Elena allora aveva solo 16 anni. Per fortuna ricorda ancora alcuni racconti delle sue avventure al fronte. Gentilmente, me ne fa omaggio.

Prima di iniziare con l’intervista, per meglio contestualizzare, mi sembra utile rilevare che il territorio dell’attuale Moldavia (ex Bessarabia), fu occupato dall’Unione Sovietica nel 1940 e subito annesso. In precedenza, fin dal primo dopoguerra, la regione era stata governata dalla Romania, che la invase nuovamente nel 1941, in veste di forza alleata della Germania nazista.
Come si chiamava tuo padre e quanti anni aveva nel 1941? Dove abitava all’inizio della guerra?
Mio papà si chiamava Pavel e all’inizio della guerra aveva 27 anni. Abitava in Bessarabia, nella zona meridionale. Suo padre, mio nonno, era di nazionalità russa. Pertanto, pur frequentando una scuola dove si parlava rumeno (del resto, ottima, come diceva sempre lui), fu educato in un ambiente sostanzialmente
russo, da tutti i punti di vista. Non tutti sanno che la Bessarabia era un territorio popolato da infiniti gruppi nazionali, che andavano dai bulgari ai tedeschi, fino ai rumeni, passando per gli ucraini e così via.
Come fu reclutato e dove iniziò ad operare? Entrò nell’esercito solo dopo l’invasione rumena?
Mio papà aveva frequentato la scuola militare rumena. Dopo l’occupazione da parte dell’Urss (1940), entrò in servizio nell’esercito sovietico. Non era un comunista: lo divenne negli anni trascorsi al fronte.
La sua prima missione (inizio di luglio 1941) si svolse tra Cahul e Țiganca (pron. Ziganka), lungo il fiume Prut, che oggi fa da confine naturale tra Romania e Moldavia. Qui l’esercito rumeno cercava punti deboli per avanzare. Riuscì una prima straordinaria resistenza dei sovietici, con gravi perdite. Dopo qualche settimana di contrattacchi non fu più possibile tenere le posizioni, poiché giunsero rinforzi ai rumeni. Papà passò al fronte ucraino, insieme ai superstiti. Da quel momento in poi seguì l’andamento ondivago tipico della guerra in quella regione, con le piccole avanzate e le grandi ritirate del 1942 e della prima parte del 1943. Non fu mai fatto prigioniero.
Raccontami qualche aneddoto!
Mio padre si asteneva dall’iniziare discorsi sulla guerra, però, dopo un bicchiere di vino diventava molto loquace. Aveva un caro amico, anche lui ex soldato, che veniva a trovarlo per bere qualcosa in compagnia. Con lui si lasciava andare. Questo amico di papà, che chiamerò Zio P., aveva alle spalle una storia incredibile. Prima della guerra Zio P. era stato condannato per un grave delitto, un fatto di sangue, qualcosa che aveva a che fare con uno che lo aveva truffato, ed era finito in prigione. Allo scoppio del conflitto, lo stato sovietico gli diede la possibilità di riscattarsi con un magnifico impiego al fronte, in prima linea. Sopravvivendo, sarebbe tornato libero. E così fu. Era addetto ad una mitragliatrice, di sicuro molto pesante, poggiante su due rotelle, che dovette trascinare fino al 1945 in uno spazio immenso, senza mai subire un graffio. Io ero piccola, ma lo ricordo come un personaggio mitologico. Zio P. invidiava papà, perché il suo stato di ex detenuto non gli aveva consentito di essere decorato né con ordini al merito, né con medaglie. Papà ne aveva ricevuti diversi, ancora conservati dalla mia sorella maggiore.
Perché Budapest è importante in questa rievocazione?
Già dalla fine del secondo anno di guerra, l’esercito sovietico aveva iniziato la sua lenta, ma inarrestabile avanzata verso occidente. Dopo l’Ucraina, tra il 1944 e l’inizio del 1945 furono liberati o si liberarono, come nel caso della Jugoslavia, tutti gli stati dell’Europa centrale e balcanica, Ungheria inclusa. Mio padre all’epoca operava in una divisione agli ordini del Maresciallo Tolbuchin, il Comandante del Gruppo Armate Sud. Ricordo quando, raccontando, diceva: “Tolbuchin qui! Tolbuchin lì!”. Era uno di quei personaggi, dato il grado, che con le loro decisioni potevano determinare lo spessore di quel diaframma che separa la vita dalla morte, la vittoria dalla sconfitta. Papà non era un Razvedcik (Разведчик - esploratore), ma in quei frangenti non era insolito ricevere ordini per missioni al limite o al di fuori delle proprie competenze. Fu quindi mandato a controllare un ponte nella Budapest appena conquistata, perché potesse essere attraversato in sicurezza. Con lui c’era un certo sergente Salabash, che papà nominava spesso quando si trattava di raccontare. D’improvviso, ci fu un’esplosione. Salabash morì sul colpo. Papà svenne. Si risvegliò a pezzi, in un letto d’ospedale. Non poté mai ricordare i dettagli dell’incidente.
Dove fu curato? Ebbe danni permanenti?
Perse un occhio, riportò gravi danni alla testa e rischiò l’amputazione di una gamba. La convalescenza fu lunghissima: quasi diciotto mesi in ospedale. Ebbe modo di riflettere sulla sua esistenza e credette di
morire. Seppi di un giuramento a Dio che aveva fatto, in caso di guarigione, pur essendo comunista. Promise che avrebbe sposato una donna per mettere al mondo tanti figli, tanti quanti era possibile averne. Papà non guarì mai del tutto, ma poté tornare dalla nonna, dopo una dolorosa e deprimente riabilitazione.
Come tornò a casa e cosa avvenne al rientro con la sua famiglia?
Era stato dato per disperso, tanto che gli uffici preposti avevano già scritto a casa. Nessuno lo aspettava più e per mia nonna fu uno shock enorme, che per molto tempo oscurò la gioia di rivederlo e di riaverlo. Per la statistica, due su quattro dei suoi figli non sarebbero mai più ritornati.
Si sposò?
Papà conobbe mia mamma e si sposò verso il 1950. Ebbero dieci figli, e chi ti sta parlando è la numero dieci. Si può certo affermare che tenne fede al giuramento.
Trovò un lavoro, non potendo più servire nell’esercito?
Sì, fu scelto per la direzione di un Sovkhoz, dove lavorò fino alla pensione. Anche mia mamma lavorava, eroina sovietica per il numero di figli. Aveva la medaglia d’oro. Era commessa in un negozio di alimentari del paese. Una sera un gruppo di banditi la seguì per rubarne l’incasso, ma lei, cambiando percorso, li seminò. Osarono bussare alla porta di casa. Mio padre non ebbe altra scelta che uscire in cortile e sparare un colpo di fucile in aria per metterli in fuga. Non furono più rivisti.
Raccontava della guerra solo quando gli acciacchi gliela ricordavano o…?
Come già detto, in famiglia non parlava volentieri della guerra, del resto era tormentato da improvvisi dolori alla testa, girava con un copri-occhio come quello dei pirati e, se lo guardavi da vicino, potevi scorgere dei piccoli segni neri… altro non erano che le migliaia di minuscole schegge della bomba che, esplodendo, lo aveva investito. Questi pezzi di metallo erano presenti in buona parte del suo corpo e, di tanto in tanto, venivano espulsi dalla carne, riaffiorando in superficie. Soffriva.
Invecchiò desiderando di non entrare mai più in un ospedale, tanta era stata la pena. Quando si ammalò, ormai anziano, dissimulò per quanto possibile ogni malessere, sino a quando fu troppo tardi. Ero lì con lui. Sono sicura che sia morto da uomo fiero e, tutto sommato, soddisfatto di aver mantenuto la parola data, dopo essersi impegnato per un futuro migliore per i popoli, per la sua patria e la sua famiglia.

La foto del padre di Elena, in divisa, è esposta insieme a quelle di tanti altri combattenti, solennemente raccolte su un grande poster memoriale che copre una parete della scuola di uno sperduto paese del sud della Moldavia. Il poster recita: “Abbiamo difeso la pace e la proteggeremo”.

Intervista di Luca Del Grosso, maggio 2020.

giovedì 1 ottobre 2020

"Lukashenko? Chi è questo?"

 https://it.sputniknews.com/blogs/202009049494033/

Il mio articolo sulla situazione in Bielorussia, pubblicato su Sputnik (settembre 2020). 



mercoledì 22 maggio 2019

Frontiera Moldavia - Transnistria


Foto di Luca Del Grosso (maggio 2019)


Viaggio a Tiraspol, Transnistria, 2019


Il 9 maggio, a Tiraspol, ho avuto il piacere di assistere alle celebrazioni per la vittoria di 74 anni fa dell'Unione Sovietica sulla Germania nazista.
Approfittando di una vacanza in Moldavia, paese che merita di essere visitato per la bellezza dei suoi paesaggi, della sua gente dalle mille nazionalità, dei suoi cibi, dei suoi vini, ho oltrepassato il confine verso uno dei territori meno conosciuti d'Europa: la Transnistria, detta da molti "l'ultima repubblica sovietica".
Scendendo dal minibus proveniente da Chisinau, la capitale della Moldavia, dopo un breve viaggio in cui ho assaporato il gusto di sedere su una tipica Marshrutka, accanto a viaggiatori locali diretti per lavoro a Tiraspol, sono rimasto sorpreso per l’ordine e la pulizia dei viali della città, dei mercati all’aperto, delle case in cui ho avuto la fortuna di essere ospite. La Transnistria è stata una sorpresa: basta dire, per catturare l’attenzione del lettore, che mi è capitato di essere servito in un piccolo bar di periferia da un ragazzino di 20 anni che studiava italiano per passione, il cui italiano era meglio del mio russo… imbarazzante...
Arrivando da Chisinau, si entra in questo speciale territorio attraverso una frontiera discretamente militarizzata, con doppio posto di blocco, soldati dai grandi cappelli verdi, imponente insegna verde-rossa con falce e martello, controllo passaporti e carta di ingresso obbligatoria, da non perdere: è meglio essere precisi nelle dichiarazioni riguardo alla durata del soggiorno per non incorrere in penali al momento della partenza.
In Transnistria si possono visitare luoghi come la fortezza di Bender, bastione anti-turco tra il 1700 e il 1800, dove è stata registrata persino la presenza del barone di Münchhausen, documentata da un simpatico monumento.
Sapere due parole di russo aiuta, anche perché gli abitanti sono disponibili e non disdegnano lo scambio di impressioni, senza esagerare, secondo il tipico contegno russo, che qui è di casa. Sicurezza ai massimi livelli, nessuno importuna nessuno. In quattro giorni non ho avuto contatti con i residenti che non fossero voluti da me stesso.
Cibo buonissimo, una meraviglia i panzerotti riempiti con carne e verdura, le zuppe, il pesce di fiume, le birre locali. Le mie conoscenze mi hanno portato in una dacia, per festeggiare il 9 maggio come probabilmente non mi capiterà mai più.
Non è facile per noi occidentali immaginare il radicamento dell’orgoglio per la vittoria contro Hitler che sopravvive persino nei canti dei bambini usciti da scuola, dopo le recite di rito, che portano a casa lo spirito della resistenza e del ricordo della lunga marcia verso Berlino. Le mie orecchie non riuscivano a credere che da creature di otto, dieci anni, potesse essere rappresentato, riportato così perfettamente e consapevolmente il sentimento di rivalsa e appartenenza ad un passato invisibile, ma sempre presente. Più che le marce dei soldati, gli inni, il rumore delle salve di fucile, lo sferragliare del carro armato seguito dai passi cadenzati delle guardie rosse, ricorderò la marcia dei parenti delle vittime, la “marcia degli immortali”, che ha chiuso come da tradizione la parata sul viale principale.
Qui sta la Russia, qui è la Transnistria. Le montagne di fiori lasciate il 9 maggio sulle fredde pietre del memoriale per i caduti, inclusi quelli della guerra di indipendenza dalla Moldavia e del terribile Afghanistan, sono la testimonianza del dolore che ha attraversato questa terra e un monito a non dimenticare la passione per la propria appartenenza alla civiltà europea orientale.
Grazie a tutti gli abitanti di Tiraspol che hanno reso il mio viaggio più piacevole e sereno di quanto potessi augurarmi alla partenza.

domenica 23 novembre 2014

La dacia sovietica: un'esclusiva per la Nomenklatura?

Ho il piacere di condividere il contributo di un amico italo-moscovita sulla questione trattata in un estratto da "Storia della disuguaglianza" del Professor Giovanni Vigo pubblicato su "Sette" n.46 del 14 novembre 2014.

Premessa: in Unione Sovietica il deficit dei prodotti al consumo era ahimè strutturale. Il governo perciò concedeva ai cittadini degli appezzamenti di terra nell'hinterland affinché questi potessero coltivarci ortaggi e alberi da frutto e così supplire alla carenza di generi alimentari. Su tali appezzamenti la legge riconosceva ai cittadini la possibilità di costruire casette di non più di un piano. Data la carenza anche di materiali edili, queste venivano edificate con quanto si poteva trovare (qualche mattone, tavole e assi di legno, lamiere ondulate): ecco la tipica dacia del moscovita medio in epoca sovietica.
Un'altra funzione della dacia era quella di essere il luogo di villeggiatura dei bambini durante le vacanze estive, perché non c'erano molte possibilità di andare in vacanza altrove e almeno in dacia potevano stare all'aria aperta.
Darti una percentuale è difficile, ma a Mosca la dacia era diffusissima tra i moscoviti. Si parla di centinaia di migliaia di persone interessate dal fenomeno.
Ci terrei a precisare che comunque le dacie di allora non sono da ritenersi una sorta di lusso riservato a una specie di classe media! I parametri con i quali si misurano le cose nei paesi capitalistici non funzionavano in URSS. La dacia, o meglio il lotto di terra, era concesso dallo Stato, che deteneva e tuttora detiene la proprietà della terra, ai cittadini dietro remunerazione ed era più una necessità che un privilegio. Ribadisco che la funzione principale era di fornire un'importante integrazione agli scarsi vettovagliamenti: il riposo del fine settimana primaverile ed estivo equivaleva a zappare l'orto per ottenere patate e cetrioli ed era già una bella fortuna. Per quanto concerne la costruzione della dacia vera e propria era una questione di praticità (già che ci andavi il fine settimana a coltivare la terra, meglio avere un tetto sotto il quale dormire, per non fare avanti e indietro il sabato e la domenica) detto questo, con pochi e poveri materiali e tanta inventiva con gli anni tiravano su queste casette che poi finivano per essere anche veramente un luogo di villeggiatura, ovviamente spartano, un'oasi nel verde per fuggire dal grigiore cittadino, posti mitici nei ricordi dell'infanzia e di collegialità familiare e di vicinato.

Solo ancora una precisazione: quando ho scritto che lo Stato è tutt'ora proprietario della terra, sono stato troppo categorico, nel senso che ovviamente era così in URSS e che nel passaggio alla Federazione Russa la legislazione è cambiata lentamente, ora certamente i privati possono acquistare la terra, tuttavia sono rimaste delle zone d'ombra in cui la proprietà degli edifici è privata, mentre il suolo dove sono stati costruiti appartiene ancora allo Stato. È il caso di molti condomini, in cui gli appartamenti sono di proprietà dei privati, ma le parti comuni e il terreno su cui sono edificati (che da noi appartengono alla persona giuridica "condominio") sono delle Stato. Nei primi anni della Federazione Russa è uscita una legge sulle privatizzazioni dei beni immobili (il cui periodo di validità scadrà a breve) grazie alla quale le persone fisiche occupanti gli immobili pubblici potevano acquistarli, chi vi ha aderito ne è diventato proprietario, chi non ha sfruttato questa possibilità o è stato sfrattato o continua ad essere affittuario.

[Ringrazio l'amico Riccardo Fiore, autore della ricerca. LDG]

lunedì 17 novembre 2014

Ipoteca: definizione da un dizionario di epoca sovietica.


Prestito in denaro concesso dalle banche dei paesi capitalistici dietro cauzione in immobili, fondamentalmente terra, fabbricati, edifici. L'ipoteca è uno strumento di sfruttamento e rovina di piccoli e medi contadini. Sotto forma di interessi questi consegnano alle banche praticamente quasi tutto il proprio reddito. La pesante situazione economica costringe i lavoratori agricoli ad indebitarsi, dando in garanzia il patrimonio, che frequentemente comporta l'espropriazione. Le ipoteche non esistono in URSS e nei Paesi che si sviluppano seguendo il cammino socialista. (traduzione di Riccardo Fiore)

martedì 21 ottobre 2014

La questione berlinese

Pretendere di comprendere la situazione di Berlino nel 1961, anno della costruzione del Muro, senza inglobare nell'analisi l'intero processo di trattativa politico-diplomatica che ebbe per oggetto il futuro della Germania ancor prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, significa svolgere un lavoro infruttuoso, le cui conclusioni non potranno avvicinarsi neppur lontanamente alle cause del profondo contrasto Est-Ovest.
La definizione dello status della Germania aveva cominciato a preoccupare i sovietici già dai primi segni di cedimento delle forze armate del Terzo Reich, sia in termini di risarcimento per i danni di guerra, sia per quello che poteva rappresentare uno stato tedesco rinvigorito, ammodernato e re-industrializzato dalle risorse economiche occidentali.
Sul finire degli anni '40 Gran Bretagna, Usa e Francia, grazie alla promozione del Piano Marshall, alla riforma monetaria della zona occidentale e alla costituzione non concertata della RFT, seppero ricostruire dalle ceneri della Germania un bastione che ebbe una duplice valenza in chiave anti-comunista: un poderoso rivale della futura RDT, con potenziale economico, richiamo e prestigio enormemente superiori, nonché lo sberleffo dell'aver portato livelli di vita superiori a quelli dell'URSS nel paese che più di ogni altro ha saputo nuocere all'URSS.
Per alcuni di questi motivi, ancora oggi, i russi più anziani non riescono a perdonare a Gorbaciov l'aver permesso la riunificazione della nazione tedesca.

lunedì 20 ottobre 2014

Riflessioni di Kruscev sulla DDR - Estratto da "Kruscev ricorda" - Sugar Ed. 1970

Prima della costruzione del Muro "... I residenti di Berlino Ovest potevano liberamente passare a Berlino est dove erano avvantaggiati da tutti i tipi di servizi comunali come barbieri e così via. Poiché i prezzi erano molto più bassi a Berlino Est, i berlinesi occidentali compravano anche tutti i generi di prodotti di largo consumo, prodotti come carne, olio animale e altri generi alimentari, e la RDT perdeva milioni di marchi... So che ci sono critici, specialmente nelle società borghesi, che dicono che noi ignoriamo la volontà dei cittadini della Germania Est quando rafforziamo la sovranità della RDT chiudendone le frontiere. So che vi sono persone che affermano che i tedeschi dell'Est sono imprigionati in paradiso e che i cancelli del paradiso socialista sono sorvegliati da guardie armate. So che un difetto esiste, ma credo che sia un difetto necessario e solo temporaneo. Abbiamo cercato di creare nella RDT le condizioni che i cittadini desiderano. Se la RDT avesse interamente intrappolato il potenziale materiale e morale che sarà un giorno utilizzato dalla dittatura della classe lavoratrice, ci potrebbe essere un passaggio non sorvegliato avanti e indietro tra Berlino Est e Berlino Ovest. Sfortunatamente la RDT - e non solo la RDT - deve ancora raggiungere un livello di sviluppo morale e materiale al quale sia possibile la competizione con l'Occidente. La ragione è semplicemente che la Germania Occidentale possiede maggiori risorse economiche e perciò ha più beni di consumo della Germania Est. Naturalmente ci sono alcuni dei nostri più intelligenti comunisti che protesteranno:<< No, state sottovalutando la nostra impresa!>> e così via. Ebbene, guardiamo all'intera questione con senso delle misure. Se avessimo a nostra disposizione maggiori mezzi e maggiori capacità per sopperire alle nostre necessità materiali, non v'è dubbio che le persone sarebbero contente e non cercherebbero di passare all'Occidente in tale numero da far diventare l'impoverimento una delle maggiori minacce per uno stato quale la RDT".

Il pessimo Kruscev ci ha regalato un libro di memorie che, a mio giudizio, si colloca tra i migliori testi di analisi delle problematiche di sviluppo del socialismo. E' sorprendente osservare la persistente lucidità di pensiero, da anziano, di un politico che durante la parte più attiva della sua vita è riuscito nel miracolo di porre la basi per il crollo dell'URSS. Contraddittoria è stata la sua esperienza, come tutta la storia dei paesi socialisti.

domenica 1 giugno 2014

2014 - Anno di anniversari - Il Revisionismo scalda i motori.

Venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino e dagli imprevedibili repentini rovesciamenti nelle democrazie popolari... piano piano la stampa alza il tiro e si fanno più frequenti gli articoli che parlano di socialismo reale. Quello che ho letto oggi, 1 giugno, su "Il Sole 24 Ore" (Eliana Di Caro, pagina 22)  è perfettamente in linea con le aspettative e delude chi come me si aspetta di imparare qualcosa fuori dai luoghi comuni della cantilena del povero socialismo. Intervista al solito oppositore: niente da mangiare, tutto brutto, grigio e lavoro duro e basta. Va bene, capito. Oggi Varsavia sembra New York? Benissimo. Evviva il capitalismo che funziona tanto bene che ci sembra di non poterne mai fare a meno. Ma io ci provo lo stesso: possibile che nelle redazioni dei giornali e in chi li stipendia ci sia ancora così tanta smisurata voglia di dipingere solo a tinte fosche l'esperienza sociale più complessa e contraddittoria del '900?
Non abbiate paura, il socialismo non tornerà presto. Non ne ritarderete l'arrivo con gli articoli e i documentari di propaganda. Tornerà quando dovrà tornare. Ma tornerà corretto e magari farà ancora più paura.

sabato 24 agosto 2013

Intervista a Teresa - Mosca anni '60

Visitai Mosca sul finire degli anni '60 per un soggiorno di cinque giorni offerto dall'azienda presso cui lavoravo a tutti i dipendenti. Quindi quasi cinquant'anni fa. Io avevo all'incirca 45 anni. Ora ne ho più di 90! C'era ancora il comunismo. C'era Breznev. Arrivammo il 1° novembre dopo un volo con Aeroflot, durante il quale fummo trattati meravigliosamente. Almeno tre ore di viaggio da Milano. Gentilissime hostess russe servirono cioccolata e champagne. Prima dell'atterraggio ci consegnarono un modulo per la dichiarazione doganale. Chiedevano di indicare se stessimo introducendo in Unione Sovietica anelli d'oro o altri oggetti di valore. All'aeroporto non c'era anima viva, solo noi. Tutto sembrava molto ordinato. Le guardie controllarono bagagli, libri e giornali acquistati in Italia.

Dall'aeroporto verso la città, in pullman. Attraversammo quartieri con grandi case popolari. Ci fecero scendere di fronte ad un gigantesco albergo con quattro ingressi (Rossija, ndb). Era un hotel per i forestieri. Fuori dalla finestra potevo ammirare la Piazza Rossa e la Moscova! Al di là del fiume, invece, si vedeva una fabbrica. Sulla piazza fervevano i preparativi per la tradizionale sfilata di novembre. In albergo si stava molto bene. Ad ogni piano c'era una governante, la camera era accogliente e c'era un cassettino con tutto l'occorrente per cucire: fili di cotone, aghi...
Le guide, che comunicavano con noi in un perfetto italiano, ci chiesero in dono giornali e riviste. Quando provai a contattare mio marito in Italia, rimasi stupita dalla rapidità con cui ciò fu reso possibile. Meno di cinque minuti! Davvero efficienti.

Prima sera: passeggiata sulla Piazza Rossa. Il giorno dopo al Cremlino e successivamente giri in metropolitana - la nostra, in confronto, fa ridere - visita del Museo della Scienza e della Tecnica, una sera al ristorante con spettacolo di danze russe ove mi fu regalato un disco che conservo ancora. Super servizio e abbondanza. Purtroppo non fu possibile raggiungere Leningrado: arrivati in ritardo al punto di partenza, trovammo i posti occupati.

Mosca era una città molto pulita. Per terra non si vedeva neanche un fiammifero e potevi leccare il pavimento. Nel vestire si somigliavano tutti quanti. Persino i cappellini delle donne erano simili. Ricordo la grande cordialità degli abitanti e anche che persi la voce, forse per il cambiamento d'aria.

Visitammo la chiesa di San Basilio, le sue cappelle illuminate da piccole candele... una mia collega, fascista, ne accese una mormorando qualcosa come "per tutti gli italiani morti qua". Io le dissi che aveva fatto bene a mettere la candela, ma di ricordarsi che gli italiani non erano stati invitati dai russi... sono morti, poveretti, ma le proteste andavano rivolte a Mussolini che ce li aveva mandati...
Non fu possibile entrare al mausoleo di Lenin, una fila pazzesca... tutti volevano andare a vederlo, c'era gente da tutta la Russia, in viaggio di nozze. Qui da noi vanno a trovare il papa, per il viaggio di nozze. Lì andavano a vedere Mosca e Lenin.
Un paese vastissimo, la Russia, il cui popolo ha saputo dare una strigliata a quelli che se ne approfittavano per mantenerli in un cronico stato di arretratezza. Poi c'è sempre quello che se ne approfitta, ma lì, prima della rivoluzione, c'erano i servi della gleba! Tutti i cambiamenti hanno un costo molto alto, con gente pura e approfittatori. Hanno dato un bello scossone e chissà come sarebbero finiti questi russi senza un tale sconvolgimento. Sarebbero rimasti schiavi, almeno da quello che sappiamo sui contadini grazie ai romanzi...

Maestosa l'università di Mosca... sotto il comunismo studiava chi riusciva nello studio, tu potevi essere chi ti pareva... sbagliavi un anno, ok, sbagliavi due anni... via... andavi a fare altro, a lavorare... la guida, che conosceva l'Italia meglio di me, spiegò: "Qui tutti hanno diritto allo studio, non c'è analfabetismo, anche nelle campagne... chi riesce può diventare qualsiasi cosa, avvocato, ingegnere, senza aver un papà di successo".

Lasciammo Mosca uno o due giorni prima della parata. L'ultima sera ci portarono ad un "night" che offriva numeri di varietà, canzoni in tutte le lingue, ma niente spogliarelli. Ordinammo un taxi per rientrare nonostante non facesse ancora freddo.

Soldati sulla Piazza Rossa, di sera, uno dei nostri passi troppo in là e la guardia un po' rude che ci fa tornare indietro: cercai con lo sguardo la nostra guida e vidi che si era presa un bello spavento!
Il viaggio mi fece riflettere sulla libertà e sulla dittatura. La dittatura non è bella, non puoi ragionare, o la pensi così o niente e poi c'è chi se ne approfitta. Ci vuole libertà, ma la libertà deve avere limiti. Allora, una via di mezzo. La libertà eccessiva non va bene e troppe restrizioni nemmeno.

sabato 15 giugno 2013

Viaggi Pianificati - Lettera di un lettore.

[A distanza di due anni dalla prima edizione del libro... è bellissimo ricevere lettere così! Non mi ci abituerò mai. Grazie a I.]

Le scrivo in merito al suo libro Viaggi Pianificati. Volevo dirle che sono rimasto piacevolmente colpito e arricchito dalla lettura del testo. Ha piacevolmente approfondito un argomento che mi sta molto a cuore, quello della vita quotidiana nei paesi del socialismo reale. Lo ha fatto prendendo in esame un punto di vista insolito, senza omettere critiche ma nemmeno volendo dipingere quei paesi come l'inferno in terra.
Sinceramente, mi stupisce che si sia autoprodotto il libro. A mio avviso, dato l'argomento interessante e il buon svolgimento dell'opera, sono convinto che avrebbe trovato un editore disposto a pubblicarlo. Ho letto recentemente un libro simile sia per impostazione che per il tema trattato ("La vita ai tempi del comunismo"-Bruno Mondadori) e credo che il suo volume abbia ben poco da invidiargli.
Chiudo con la speranza che un nuovo volume veda la luce (magari pubblicato da una casa editrice che gli dia la giusta distribuzione). In me troverà un lettore appassionato.
Con sincerità,
 
I.T.

giovedì 26 luglio 2012

Analogie tra l'Italia contemporanea e il socialismo reale.

E' buffo rilevare come alcune delle più odiate peculiarità dei paesi ad economia pianificata possano essere facilmente assimilabili all'odierna società italiana. Anzi, per certi versi, date le premesse e il vantaggio indiscutibile accordato dall'adesione ad un sistema fondato sul libero mercato, nell'Italia del 2012 emergono dinamiche persino peggiori di certe manifestazioni che molti possono ricordare come tipiche del campo socialista.

Spunti per una riflessione in merito.

Un lavoratore italiano di trent'anni, oggi, nonostante l'impiego a tempo pieno, spesso si vede costretto a condividere l'appartamento con sconosciuti, in quanto impossibilitato a fronteggiare il "caro affitti". Ciò avveniva regolarmente in un'Urss devastata da due guerre mondiali ed una guerra civile. Non per i prezzi, ma per la mancanza di case. Da noi le case ci sono, ma sono mal distribuite e, per chi deve affittare, costano uno sproposito.

Un elettore italiano, oggi, non può scegliere i suoi rappresentanti in Parlamento. Nei paesi socialisti le liste erano preordinate e non si poteva votare per personaggi diversi da quelli graditi al partito. Situazione non molto diversa da quella italiana, vero?

Un operaio italiano del nostro secolo, nella maggioranza dei casi, avrà figli che non supereranno i suoi standard di vita. Nella migliore delle ipotesi saranno essi stessi operai o, dio sia lodato, soprattutto in Lombardia, impiegati. Perlomeno, nei paesi socialisti, il figlio di operai o di contadini aveva chance di arrivare in alto. I più fortunati raggiunsero addirittura l'apice della piramide: benefici della lotta di classe.

In Italia ci sono pochi lettori e, quei pochi, leggono i libri letti dalla maggioranza. Un lunedì del giugno 2004, dopo quasi dieci anni di mattinate trascorse in automobile, decisi di prendere la metropolitana per raggiungere il posto di lavoro. Salito a bordo, mi misi a curiosare sul contenuto delle letture dei miei compagni di viaggio. Accanto a me: codice da vinci. Mi chiesi: che sarà mai? Di fronte a me: codice da vinci. Pensai: toh, che coincidenza! Di lato, oltre le porte, sulle gambe di una bella impiegata giaceva un codice da vinci. Ehi! Fermi tutti! Hanno instaurato la dittatura e non mi hanno avvisato? A che serve dichiarare la libertà, se poi si opera per un suo continuo e scientifico condizionamento?
Nei paesi dell'Est certi libri non potevano esser venduti, né affittati in biblioteca. Erano semplicemente non disponibili o indesiderati. Un modo più diretto per non lasciar leggere ciò che la letteratura mondiale offriva. All'Est ciò accadeva per proteggere il cittadino dalle fuorvianti influenze della produzione capitalistica. Ad Ovest, tuttora, per guadagnarci e distrarre. Di fatto, in entrambi i casi, possiamo rilevare quanto sia pericoloso per uno stato lasciare che le persone crescano consapevoli delle possibilità di modificazione della realtà attraverso lo studio e la conoscenza delle scienze sociali ed economiche.

Era mia intenzione concludere parlando di coloro che siedono in senato o alla camera dei deputati e dei loro presunti meriti, dell'endemica corruzione, del rapporto tra il cittadino e la burocrazia, del sistema giudiziario in genere, dello stato disumano delle carceri e della condizione kafkiana di molti detenuti, della violenza e degli abusi delle autorità coperti da un sostanziale accordo politico tra i membri dei tre diversi poteri dello stato, del mancato adeguamento alle direttive internazionali delle leggi di tutela della persona (in Italia, in campo economico, siamo invece sempre molto solleciti a far fronte ai nostri obblighi, a spese dei lavoratori!), delle deformazioni operate dai mezzi di informazione, della non-informazione e della loro diretta dipendenza dai centri di potere... insomma, di tutto ciò che ha portato la "ragion di stato" a schiacciare i meccanismi democratici, ma rischierei di sconfinare nel banale. Si tratta soltanto di capire qual è la "ragion di stato" che preferiamo e schierarci di conseguenza.

Ho sempre creduto che gli italiani e i russi avessero molto in comune. Non ho cambiato idea.